Critica e storica dell’arte, progettista e curatrice di mostre indipendente, si è laureata all’Università di Bologna, e ha conseguito il Dottorato di ricerca presso la stessa Università. Qui ha collaborato, come docente a contratto, con la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, per l’insegnamento di Sociologia dell’arte, tenendo nel frattempo, per diversi anni, corsi di Teoria e Fenomenologia della Critica al Master per Curator all’Accademia di Brera di Milano. Ha fatto parte della redazione della rivista “Parol – Quaderni d’arte”, edita dall’Istituto di Estetica dell’Università di Bologna, e collaborato con altre riviste d’arte, di letteratura e di estetica, tra cui “Il Verri” e la “Rivista di filologia e critica”, oltre che con “Il Corriere della sera” e con “Il Messaggero”. È stata consulente della casa editrice Leonardo Arte di Milano (sezione International), come responsabile dell’edizione italiana di monografie dedicate all’arte moderna e contemporanea (Picasso, Dalì, Frida Kahlo, Modigliani ecc.).
È raro poter visitare in uno stesso territorio, nello stesso periodo, due mostre che dialoghino intensamente tra di loro, quasi a formare un dittico, o a intonare un canto a due voci…Così accade per le mostre personali di Ettore Frani e Massimo Pulini, in due splendidi spazi museali delle pianure della Romagna, ormai soggette con tragica frequenza, all’ira delle acque...Pulini e Frani sono entrambi profondamente, intimamente pittori. “Noi altri dipintori habiamo da pensare con le mani”, affermava il grande pittore bolognese del ‘600 Annibale Carracci. E infatti le loro mani pensano con forza e delicatezza, e restituiscono al mistero quella realtà che la nostra epoca ha precipitosamente consegnato all’indifferenza e all’automatismo percettivo.Secondo Paul Klee, compito dell’arte è rendere visibile l’invisibile. Forse, invece, di questi due artisti si può dire che portano il visibile alle soglie dell’invisibile: lo spazio diviene specchio che riflette il possibile e il nascosto. L’immagine reale si fa immagine possibile. E l’immagine possibile abita l’immagine reale come il suo doppio fantastico e fantasmatico, e diviene soglia di infiniti spazi possibili, di spazi infinitamente altri…. È forse quella “patria sconosciuta” di cui parlano Plotino e Novalis, l’arrière-pays intravisto da Yves Bonnefoy, o l’eterotopia di Foucault…Ecco allora sorgere un pensiero per immagini (perché la vera arte è sempre pensiero) in cui incanto e disincanto, tecnica e poesia, identità e differenza, finito ed infinito, vengono pensati insieme. Un pensiero che non teme il concetto di Bellezza, che così esprime Massimo Pulini: “La “Bellezza” è l’incanto per qualcosa di naturale o di culturale che raccoglie il successo di un’ammirazione istintiva, senza razionalizzazione. È pura emozione”. Certo non si tratta di ridurre col godimento estetico l’ansia - incancellabile nell’uomo se non a prezzo di mistificazioni - d’osservare, di cercare, d’interrogarsi. Anzi, si tratta proprio di continuare a cercare, e a pensare. Questo pensiero tragico nel quale convivono la nostalgia del mondo incantato, la tecnica e il nichilismo, sembra attingere a quello che Henri Corbin definisce “mondo immaginale”: quel luogo situato tra il mondo della percezione sensibile e il mondo astratto dell’intelletto; quel luogo reale e visionario dove i corpi si spiritualizzano e gli spiriti prendono corpo. [1]
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