Vivo nel paese in cui sono nata: un lembo di terra, di campagna, accostato all’argine del Po. Mi sono laureata in filosofia in anni lontani, ho vissuto in Brasile, ho insegnato e cercato di conciliare il lavoro con l’interesse per i popoli del mondo e le loro storie. Mi piace riflettere sulle scritture di pensatrici, nomi antichi sepolti nella storia o presenti nel mondo contemporaneo, che sanno esprimere sapienza; cerco di portarle alla luce, di percorrere le loro strade insieme ad altre donne; medito sulle loro scelte mentre rovisto con le mani nella terra. Amo le piante, le curo, le moltiplico e ne scovo i germogli, facendo festa alla pioggia di primavera, alle brume autunnali e ai rigori dell’inverno. Le difendo dall’arsura che schiaccia e dal biancore dell’estate che aspetto passi in fretta.
L’avevamo già letta nella postfazione al libro J’accuse di Francesca Albanese (con Christian Elia), uscito alla fine del 2023 per Fuori Scena editore. Ora, dopo un anno e più di guerra e sterminio, la parola di Roberta De Monticelli torna chiara e profonda dalle pagine di questo libro. È la parola di una filosofa che ha forte la consapevolezza che la filosofia non è il mestiere di chi non sa mettere i piedi a terra, non è l’altra faccia, quella più inutile e modesta, della real politik, ma è lo strumento ineludibile per la comprensione di ciò che accade.Non basta leggere quanto scrivono i giornali o gli esperti di politica, non bastano le dichiarazioni dei capi di governo e non bastano neppure le più approfondite ricerche. Quello che accade in Israele e in Palestina non è riducibile alle vicende di un frammento di terra circoscritto, piuttosto diventa “‘nodo’ della storia mondiale, ma anche del pensiero umano e soprattutto del pensiero di questo nostro presente cieco a se stesso, come sempre è il presente quando le civiltà paiono precipitare nel sonnambulismo che precede lo schianto”.Per farci capire perché proprio la Palestina è un ‘nodo del pensiero’, l’autrice parte da un viaggio, in Palestina e in Israele, compiuto nell’inverno tra il 2022 e il 2023, prima della tragedia del 7 ottobre 2023. Il viaggio la porta in prossimità delle radici del bene e del male e ne scrive ‘a mani nude’, forte del pensiero di Simone Weil: “il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male”, questione che fornisce all’etica il suo mestiere.La terra in cui il viaggio si svolge è per noi occidentali la terra del mito originario, della genesi della legge, come parola dell’‘invisibile’, ed è insieme il luogo in cui la tragedia si tocca con mano e la difficile operazione di districare il bene dal male diventa necessaria per consentire la ricerca integrale della verità, che è il solo modo per la restituzione della giustizia.“Mai come in questo viaggio”, racconta De Monticelli, “mi sono sentita prossima alle radici del bene e del male, in noi e fuori di noi. Solo più tardi mi sono imbattuta in una frase che ho sentito come l’inizio di una spiegazione: ‘Il significato profondo della nonviolenza è quello di fondare l’infinita apertura dell’anima’. L’ho trovata in un saggio di Aldo Capitini pubblicato nel 1949”.Il nome di Capitini, il suo pensiero, diventano fondamento. Più volte i nostri lettori possono incapparvi anche qui su CartaVetro.A Nablus, nel cuore della tragedia, l’autrice va alla ricerca di quel frammento di bene, “delicatissimo, sfuggente e inconfondibile”. Nei pressi di Nablus si trovano il monte Garizim e il pozzo di Giacobbe, quello dell’incontro e della quieta conversazione tra Gesù e la Samaritana, narrato nel Vangelo di Giovanni. Lì c’è/c’era Bait al Karama, un centro di accoglienza, incontri, iniziative culturali e sostegno soprattutto per le donne, ma, appena sopra, sulla cima del monte, ci sono gli insediamenti israeliani, il ‘Monte delle Benedizioni’, con una scuola rabbinica che si pone all’estremità delle molte visioni del sionismo, e interpreta la promessa biblica come diretta chiamata alla diaspora ebraica perché ritorni in Israele e interamente lo occupi.Lì la contraddizione si tocca con mano, ma se si vuole andare nelle pieghe di questa difficile diatriba, è possibile, sulla scorta del pensiero di Jeanne Hersch, percorrere la strada, complessa, ma unica a consentire respiro, del riconoscimento che “qualcosa è dovuto all’essere umano, per il solo fatto che è un essere umano… il riconoscimento di una dignità che egli rivendica perché aspira consapevolmente a un futuro, e perché la sua vita trova in questo un senso di cui è disposto a pagare il prezzo”.Qui si aprono pagine che riflettono il pensiero di molti maestri, dalla Bibbia dei patriarchi agli scrittori del Novecento, ai filosofi a cui De Monticelli riconosce un primato di pensiero, Husserl e Max Scheler, al Mosè su cui riflettono Mann e Freud, sostando poi sulla matrice del diritto e su quel Giustiniano del canto VI del Paradiso in cui Dante vede l’essenza stessa del diritto come bilanciamento ideale dei torti e delle ragioni di ciascuno.All’autrice che compie il suo viaggio viene in mente di nuovo la Samaritana, Fotina, la “donna che bevve la luce”, incontrata al pozzo, luogo nuziale dei patriarchi, nell’ora del sole allo zenit.
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