Milena Nicolini

Nata e vissuta a lungo in una villa alberata della periferia di Modena. Da quando mi si svelò il mistero dei segni d’inchiostro sul bianco della carta, ho scritto e letto. Anche sui vetri appannati, quando, d’inverno, mi tenevano di qua dal giardino, dagli altri. Fino a farne il segnosentimento della mia vita. Mi sono inoltrata nella filosofia – traghettata dal gran Maestro Luciano Anceschi –, nella poesia, nel teatro, nel pensiero delle donne, per continuare col dito sul vetro a buttare messaggi dall’altra parte. Tra le mie tante parole in bottiglia: L’Oscuro, romanzo del 2013, la poesia di uno più uno, se facesse duale del 2020, la navigazione a onde alte nell’opera di Anna Maria Farabbi di Gli esercizi della stupefazione e le vie della scelta del 2019 e L’uroboro nell’opera di Anna Maria Farabbi del 2021. Sempre per Rossopietra Edizioni, Castelfranco Emilia.

Bibliografia di Milena Nicolini

LA GUERRA E I NUMERI

Zoom

Paola Febbraro, STELLEZZE

Poesia

I FRATELLI CERVI. OLTRE IL MITO, IL VALORE PROFONDO DELLE LORO SCELTE

Storia Zoom

LA PACE È L’UNICA STRADA

Libri

IMPRESSIONI DI MOSTRE E CONVEGNI

Eventi Poesia

L'OFFICINA DELLA MEMORIA

Società

GIUSTIZIA RETRIBUTIVA E GIUSTIZIA RIPARATIVA

Libri

L’IO E LA MEMORIA

Riflessione Società

L'ECCIDIO NAZISTA DI MONCHIO E L'ECCIDIO NAZIFASCISTA DI CERVAROLO

Storia Zoom

KARAMAGÒ DELLA COSTA D’AVORIO

Società

MEMORIA E IO

Riflessione Società

FARE PREGHIERA DELLA POESIA

Poesia Zoom

NEL MIO BASSO IO PENSO LARGO, ERGO NON INCATENATEMI A SCHEMI

Avrei voluto disporre dell’autorevolezza di Roberta De Monticelli e di Francesca Albanese per anch’io intitolarmi all’Emile Zola, “J’accuse”. Con questo riferimento, comunque, desidero consigliare di leggere il coraggioso e chiaro e onestissimo libro così intitolato: J’accuse, appunto; di Francesca Albanese con Christian Elia e con la bella postfazione di Roberta De Monticelli, edito da FuoriScena, RCS Media Group S.p.A., Milano, 2023. Sottotitolo: Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo – L’apartheid in Palestina e la Guerra.Ero molto piccola ancora quando per la prima volta, in forma quasi clandestina – perché se ne diceva qualcosa, ma vagamente, con pudore e anche forse incapacità di crederci, non fosse stato per quella nuvola nera negli occhi delle mamme, che avevano visto la guerra, patito il fascismo, aiutato in famiglia qualche ebreo a raggiungere la Svizzera, e che alla parola tuttuna ‘campidiconcentramento’ diventavano serie serie, ci prendevano per mano o sfioravano i capelli e tacevano pensando, immaginando – in forma quasi clandestina, dicevo, vidi un documentario in superotto con le immagini –  poi ripetute e ripetute in seguito e divenute significative di un orrore mai prima visto, mai prima raggiunto – delle riprese girate dai soldati che nel ‘45 arrivarono ad Auschwitz. Mi si sono incise per sempre nel cervello, nitide precise esatte di significato. Da non molti anni avevo messo a fuoco cos’era in tutta la sua realtà la morte. Ma lì si andava ben oltre. Lì misi a fuoco una volta per sempre che il mondo e la vita potevano contenere un male così tremendo da non potere stare dentro ai pensieri, che l’essere umano non era affatto il meglio del creato, nonostante le mamme avessero già infilato i giusti dubbi coi racconti della guerra, e coi cenni spaventati alla bombatomica di Hiroshima; ma c’era tanta propaganda al progresso, dallo Sputnik alla modica disponibilità dei primi polli d’allevamento non-ruspante, alle case popolari. Oggi lo chiameremmo uno shock. Forse. Ma lì soprattutto compresi. E lì scelsi di impegnarmi per mai più quell’orrore e per il rifiuto d’ogni violenza. Non facile con il Sessantotto a pochi passi di anni da venire, con la Resistenza di mio padre a pochi passi indietro avvenuta, con un Cristo che dannava all’Inferno per il funerale civile i miei nonni, con un ideale di socialismo sempre più connivente con milioni di morti. Ma, anche negli errori, nei quasi tradimenti, non ho mai perduto quel ‘no’ profondo che mi vive dentro, al di sopra di nominazioni perimetranti o meno, come ‘shoah’, ‘terrorismo’, ‘foibe’, ‘tortura’, ‘olocausto’, ‘stalinismo’, ‘atomica’, ecc. Hanno per me un unico denominatore comune: la inaccettabile violenza contro le creature, e dico ‘creature’ oggi, non più solo ‘umanità’, perché il vero progresso civile ci sta facendo consapevoli dell’interconnessione tra tutti gli esistenti in questa nostra forma terrestre di vita.Allora.

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