Germaine Tillion (1907-2008) è una figura esemplare nella storia del XX secolo in Francia. Da una parte è un personaggio impegnato attivamente nella vita politica del suo paese: resistente della prima ora, prigioniera e deportata nel corso della Seconda guerra mondiale; militante per la pace e la dignità umana, contro la violenza durante la guerra d’Algeria (1954-1962); combattente per i diritti umani nei decenni successivi. Dall’altra, è una delle etnologhe più originali che la Francia abbia conosciuto, autrice, tra le altre cose, di uno studio divenuto classico sulla condizione delle donne nelle società mediterranee, L’harem e la famiglia (1966); e una storica di prim’ordine autrice di studi esemplari sulla guerra d’Algeria, Les Ennemis Complémentaires (1960), e sulla deportazione, Ravensbrück.
Questo doppio impegno, nel campo dell’azione e in quello della conoscenza, è tanto più notevole in quanto, in modo eccezionale, in Tillion l’una nutre automaticamente l’altra. Il suo lavoro di conoscenza si fonda direttamente sulle sue esperienze vissute e i risultati di questo lavoro la conducono a nuovi interventi nella società . Lei stessa trasforma la propria memoria in storia e i propri incontri reali in teorie etnologiche, prima di mettere il sapere così acquisito al servizio di una lotta per la dignità di tutti gli uomini e di tutte le donne della terra.
T. Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, 2004
“Scienza carceraria” è una definizione un po’ esagerata per qualificare i bocconi di informazioni che i detenuti strappano una briciola alla volta nella loro prigione, ma queste briciole le accumulano, le confrontano, cercano di verificarle, e ci riflettono su continuamente. Perciò è quasi una scienza.
Per esplorare gli ingranaggi dell’incredibile meccanismo nazista, inizialmente disponevo solo di ciò che potevano sapere i detenuti, ma queste informazioni erano numerose e sicure e, quando le nostre guardie dovettero rispondere ai loro giudici, furono rari i fatti importanti che scoprimmo da loro. Alcuni però ve ne furono. Questo è uno dei motivi che mi spinse a rivedere lo studio che state leggendo.
Le mie compagne della Resistenza erano state vendute, nel dicembre del 1940 e nel febbraio del 1941, da traditori pagati mensilmente dalla polizia militare tedesca (Abwehr); ciò accadde a molti altri membri della Resistenza che conoscevo, appartenenti ai diversi gruppi. L’avevo saputo nel 1941, ma il fatto di saperlo non mi risparmiò affatto di essere arrestata a mia volta e praticamente allo stesso modo, cioè venduta da un traditore al servizio dei tedeschi (un prete n.d.r.). le informazioni dettagliate che avevo sull’interno delle prigioni tedesche non mi risparmiarono nemmeno la durezza dei primi giorni, ma i giorni passano e il detenuto finisce sempre per esplorare meticolosamente le mura che lo rinchiudono.
Per mantenere la cognizione del tempo, per “esistere”, non appena riuscii a reagire mi misi a scrivere degli appunti cronologici sulla parete della mia cella alla Santé, usando il cucchiaio di metallo che mi avevano dato.
Ero in isolamento – niente libri, né pacchi, né passeggiata settimanale -, ma dato che tutti i vetri della finestra, tra le sbarre, erano stati rotti con cura dagli occupanti precedenti, e visto che i primi giorni non riuscivo a mangiare niente, con la cordicella che tutti i prigionieri della terra fabbricano con un pezzetto di lenzuolo, imparai immediatamente a mandare il mio pane alla detenuta della cella subito sotto la mia. Venne il giorno in cui, felice di farmi un piacere, lei mi fece arrivare con lo stesso mezzo una matita che aveva trovato nel suo pagliericcio.
Con quella preziosa matita, cortissima, ma grande quanto il mio pollice, riportai quegli appunti sulle pagine di un libro di preghiere datomi dal cappellano militare di Fresnes.
I miei appunti inizialmente erano eterogenei: ad esempio il 18 agosto: “Mangio poco”; il 22 agosto: “Uccido un centinaio di cimici”; il 3 settembre: “Per la prima volta dormo un po’” (alla SantĂ© infatti una pendola suonava ogni quarto d’ora – forse suona ancora – e dal 13 agosto al 3 settembre posso giurare di aver atteso e sentito i novantasei rintocchi quotidiani).
Il 20 settembre, nell’edificio di fronte al nostro, 17 ragazzi condannati a morte ci annunciarono che avevano permesso loro di rivedere le famiglie e ricevere un pacco. Uno di loro si chiamava Dédé, aveva trent’anni e cinque figli…
Lunedì 5 ottobre, alle 11, dopo la zuppa quotidiana, sentii degli addii e pensai dapprima a una liberazione, mentre erano 14 condannati che erano stati spostati di cella prima dell’esecuzione. Erano di Angers e alle tre partirono… Ho appena il coraggio di dire, oggi, che cantarono La Marsigliese, tanto sembra antiquato. Ma fu proprio ciò che accadde.
Ho riportato un frammento da Germaine Tillion, RavensbrĂĽck, Campo dei fiori 2012.
Certo non basta a rendere un’idea di questa straordinaria figura della storia francese ed europea del Novecento, ma può aiutare a inoltrarsi nel suo lascito umano e intellettuale.
Formata alla Scuola di alti studi come etnologa, sotto la guida di Marcel Mauss e di Louis Massignon, compie missioni antropologiche in Algeria, vivendo sola tra i Berberi delle montagne. Tornata in Francia, organizza la Resistenza all’interno del gruppo di ricercatori del Musée de l’homme. Tradita da un prete collaborazionista, viene incarcerata il 13 agosto del 1942 e deportata nel campo di sterminio femminile di Ravensbrück il 21 ottobre del 1943.
Sopravvissuta, dopo la guerra studia i crimini nazisti e i campi di concentramento tedeschi e sovietici e riprende il lavoro di etnologa in nord Africa. Per la sua conoscenza di questo mondo, viene chiamata a missioni politico-sociali durante la guerra d’Algeria.
Lavora contro la tortura nei paesi del mondo, contro l’impoverimento del popolo algerino e per l’emancipazione delle donne.
La sua scrittura è potente, trasmette forza con la carica di ironia che riesce a mettere in atto anche nelle situazioni più drammatiche.
Tzvetan Todorov, oltre a dedicarle il capitolo finale, Il secolo di Germaine Tillion, nel libro da cui è presa la citazione iniziale, la inserisce tra gli otto Resistenti del suo libro del 2017, donne e uomini che hanno lottato per la giustizia, per un amore incondizionato della libertà , opponendosi agli aggressori e anche al rischio del desiderio di vendetta.
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