
Uno, due, tre, quattro giorni. Ancora nessuna reazione nelle piazze. Mi arriva l’avviso di un ‘funerale di piazza’ per 15 alberi di uno spiazzo della città tagliati dall’Amministrazione comunale con motivazioni di salute arborea e pubblica non troppo chiare; sento di mercatini bio-ecolologici; alcune donne nostrane e straniere si trovano per far fronte alle incursioni di promotori di delinquenza addirittura tra i ragazzini delle medie e dei bienni delle superiori: per carità tutte bellissime, sacrosante iniziative, ma… nessuna chiamata di piazza o di sala pubblica per le macerie di Gaza destinate a resort da Trump. Sì, ne parlano in tutti i formati di talkshow televisivi e radiofonici i soliti tre/quattro gatti soriani giornalisti che per tutto ‘sto tempo di massacri – altrimenti negati, giustificati quando non santificati, aggirati, ricondotti a capziose disquisizioni (sulla parola ‘genocidio’, sul ‘popolo terrorista’, sulla ‘unica luce democratica in Medioriente’ e via così) –, pur con i loro bravi punti di vista differenziati, ci hanno ‘donato’ le loro riflessioni. E sottolineo ‘donato’, perché noi, gente che non decifra bene uno scritto un po’ più lungo di un sms, che pensa social, che legge progressivamente di meno e preferibilmente libri corti e facili, che si forma in una scuola vieppiù sbandata, raccogliticcia di tutte le carenze socio-psico-culturali (i ragazzini si menano e si uccidono in bande per quisquiglie?, si propone un’ora settimanale di Affettività; i giovani diplomati non sanno scrivere in un italiano decente?, torniamo al Latino, un’oretta la settimana fin dalle medie, e via così); be’, noi /gente/così dovremmo innalzare templi e statue d’oro a questi pochi gatti nostrani che ci nutrono di vitaminico pensiero, di domande-dubbi integratori, di antibiotici contro infezioni striscianti di indifferenza e forse inconsapevole (?) complicità. Ma tutti ‘sti poeti, scrittori, narratori, tutti ‘sti storici e sociologi e psicopensatori e umanisti universitari; tutti ‘sti popolarpolitici e ‘sti sindacati scioperanti e ‘sti bravi amministratori di casa-sua e tutte ‘ste mie donne specializzate nell’abbraccio e nella cura; tutti ‘sti artisti, architetti, urbanisti e, anche qui: ecc. ecc., OOOH! OOOH! OOOH!, dove siete finiti/e? Possibile che non abbiate niente da proporre alla piazza, per ridire qualcosina sull’ipotesi, sempre più presa in considerazione – pare – anche da ‘benpensanti’, di far sfollare i palestinesi per quindi-sedici anni, giusto il tempo di far diventare Gaza la Costa Azzurra mediorientale? Che poi si sa come vanno ‘ste cose, i ritardi ci sono per forza – una crisi del cemento qua, un’inondazione di fondamenta là – e senza neanche accorgersene passa un secolo e poi un altro… be’, dopo, chi si ricorda neanche più cosa significa la parola ‘palestinesi’? C’è poi l’ultima battuta da tenere in seria considerazione! Saranno sfollati solo quelli che volontariamente vogliono andarsene da Gaza. Come se non avessimo visto tutti quei film western dove il grosso potente ranchero ne fa di cotte e di crude a quei poveretti di coloni che non vogliono andarsene dal loro pezzetto di terra, neanche per tutti soldi del mondo! Cavolo!, è un topos hollywoodiano anche oggi, nonché centrale in chilometri di telefilm, quello dei palazzinari cattivi che o corrompono dei poveretti mortidifame con quattro lire o riempiono di botte – ma più spesso ammazzano – i residenti che non vogliono mollare i palazzi da demolire, per fare, guarda te!, proprio resort, parcheggi, supermercati e via così.
Quand’ero giovane mi chiedevo: ma com’è stato possibile che certi contadini, adiacenti ai campi di sterminio, non fossero sconvolti dal puzzo e poi dalla neve di carne bruciata, ma qualche volta andassero pure a comprare paralumi di pelle umana? Com’è stato possibile far stare fermi e zitti milioni e milioni di persone davanti ai rastrellamenti di ebrei, che venivano sbattuti sui camion davanti alle loro finestre, e c’erano vecchi vecchi malandati e c’erano bimbetti col moccio al naso e c’erano donne incinte, insomma, roba da smuovere un elefante … Dopo, studiata, c’è stata la terribile, esaustiva risposta di Hannah Arendt: la banalità del male. Sapete che vi dico, e SERIAMENTE? Facciamo un’ora in più dalle elementari all’università sulla BANALITA’ DEL MALE.
Intanto io mi strofino gongolante le mani. Perché? Perché, anche se dovessi godere di ottimissima salute, morirò di sicuro prima della catastrofe totale. Be’ sì, lo ammetto, un po’ troppo egoista, irresponsabile, questa via di fuga. Sempre meglio, però, di quelli che, sotto sotto, penso progettino di far fuori coi sicuri disastri a venire tutta quella parte di umanità che non avrà i mezzi per sopravvivere, godendosi un mondo da favola di soli sovrani e robot, e riposandosi dal caldo estivo su Marte.
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