In un posto del mondo, Assisi, inciso di luce da due esseri umani luminosi, Francesco e Chiara, mi trovo a condividere la parola in un luogo pubblico. Nomino il cannibalismo che continua a essere praticato in tante modalità, più o meno assordanti, emorragiche, terroristiche, sapientemente coercitive, nell’orbite continua, indissolubile, di un automatismo comportamentale androcentrico. Abbiamo trasformato la terra in una macelleria autodistruttiva.
Tra le persone, due bambine, vivaci, attente, affettuose l’una con l’altra, con una gaiezza che alleggerisce e riverbera il sorriso. Maya e Elena mi aiutano disponendo i libri, scrivendo i cartellini per il pubblico. Poi siedono tra i genitori e ascoltano. Sfugge a tutti, alla fine dell’incontro, che hanno litigato. Me lo comunica la mamma di una di loro. Ma il passaggio della conciliazione, per quanto faticoso, avviene. E in un tempo brevissimo. Proprio perché non si debba perder tempo al gioco e alla gioia dello stare insieme. Maya lo scrive in una lettera che mi porge a tavola, aspettando i primi piatti della cena. Così come Elena, subito dopo.
La loro voce dà voce al loro inchiostro, soprattutto al loro sangue che nasce e rinasce dal cuore. Il lavoro della loro amicizia ci insegna. Segna una maturità relazionale rispetto al nostro infantilismo umano.
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