Giugno 2023. Cammino sul bagnasciuga di un tratto della riviera romagnola; il retroterra è stato colpito meno duramente che le soglie del mare, ma le esondazioni che ci sono state lo hanno violentato a morte, lasciando tracce indelebili. Uno spesso tappeto di conchiglie scricchiola sotto i passi dei tanti che comunque sono accorsi al mare, non fanno il bagno, ma passeggiano avanti e indietro. I miei piedi ricordano un altro rumore cricchiante sotto i passi, a Berlino, al Jüdisches Museum: quello sui 10.000 volti in acciaio punzonato dell’installazione Shalechet – Foglie cadute – sparsi sul pavimento dello Spazio Vuoto della Memoria; l’artista Menashe Kadishman ha voluto che i visitatori siano indotti a camminare su quei volti per far loro sentire lo stridore delle facce che cozzano insieme, rumore non simile ma capace di richiamare alla sensazione il suono di resti, ossa di esseri umani, calpestati. Un modo per far vivere prima di tutto nei sensi del corpo, e poi nel disagio dei passi e infine, messa a fuoco consapevolmente la profanazione, nel desiderio di uscirne al più presto, l’orrore per tutti i morti dei lager e della guerra e di ogni violenza. Ma, credo io, anche per far sentire a chi schiaccia le teste, la colpa possibile nella banalità del male e la responsabilità, comunque ieri e oggi, di ognuno.
Le miriadi di creature mollusche morte, tra cui tante bivalve ancora legate insieme, quindi morte da poco, non per urti violenti ma per la tossicità delle acque – con evidenza lampante moltiplicato all’ennesima potenza il consueto normale numero estivo – vengono dopo i giorni delle file ininterrotte di granchietti e di meduse (anche pesci grandi e piccoli, anche un piccolo delfino) morti, che costeggiavano l’ammasso nero e solido dei rifiuti – tra cui tanti tanti tanti pezzetti multicolori di plastica! – portati dalle esondazioni dei fiumi. Che forse all’alba ci sono ancora, ma che, da quando la stagione turistica è comunque partita, sono raspati via dai bulldozer, i quali frantumano sotto i cingoli anche le conchiglie: prossima sabbia per gli ombrelloni. Chapeau ai solerti romagnoli che lavorano caparbi per riprendersi da un disastro ecologico ed economico terribile. È vero che sembrano più impegnati a minimizzare, a nascondere sotto il tappeto la spazzatura, piuttosto che a protestare e romanzare sull’esperienza e sui danni del disastro, quasi come se niente fosse stato quel ch’è stato. Bandiera rossa per qualche giorno, anche senza cavalloni, ma presto, prestissimo, bandiera bianca; che poi significhi proprio ‘via libera al bagno’ non è detto.
“Che ne dice dell’acqua?” “Ha letto l’Arpa? L’hanno analizzata, va bene, sono pochi i posti col divieto.”, risponde il bagnino. Che poi, due giorni dopo, non ce n’è addirittura più di posti proibiti su tutta la riviera. Ma, ma… “Be’, io a mio figlio – c’ha diciassette anni – gli ho proibito di fare il bagno qui almeno per un mese. Ma così, per sicurezza…”, rivela in confidenza.
I turisti sembrano prudenti: piedi nell’acqua sì, ma che si azzardino un po’ al largo a nuotare, no: uno o due in una settimana. Mi preoccupa però la gente che, come me, raccoglie conchiglie, sbuffa magari per lo scarso sole e la frequente pioggia (che il saggio bagnino benedice, perché, sennò, mare piatto e sole caldo farebbero un acquitrino putrido), magari sospira per la sospensione del bagno, ma poi passa ad altro: si lamenta dei prezzi aumentati, del bus che c’è ma non passa mai, contenta invece che ai vucumprà sia proibita la spiaggia, che l’immensa distesa di rena sia sempre rastrellata come un giardino zen… In fondo in fondo, fatica a credere che in quell’acqua un po’ marrone a riva non ci sia solo fango, ma sostanze e cose che stanno ammazzando anche il mare. Poi ogni giorno è un po’ più chiara, quasi quasi limpida. Molti hanno sospeso il telegiornale e i giornali; se qualcuno li compra, magari si limita ad esibirli, perfettamente piegati e chiusi, sporgenti dalla borsa da spiaggia; comunque per lo più sceglie quelli locali, per sapere cosa succede a casa: una bomba d’acqua con allagamento qua, una frana che ha spazzato via case là, un altro femminicidio ipotizzato ché non trovano il corpo, una caserma dove degli agenti torturavano barboni e drogati come i nazisti, l’assoluzione di uno che “me, qual lè, l’avrev mazè subét, trop comda!” (trad.: “io, quello lì, lo avrei ammazzato subito, troppo comodo [passarla liscia così, completamento del redattore]”. La gente chiacchiera di ferie, menù, figli, badanti, gossip, proprio come se in parlamento non stessero per abolire il reato di tortura – “Ma sì, dai!, sono tutti uguali, tirano tutti l’acqua al proprio mulino! Ah!, io non vado neanche più a votare, per quella gente lì.”. Neanche lontanamente si ricorda che proprio in questo mare, qua e là, si sciolgono le carni di migliaia di uomini donne bimbi in fuga da guerre, fame, violenze.
“L’ha vista la foto di quella bimbina nera annegata che…” “Per carità, mi fa senso solo a guardarla. Non dovrebbero pubblicarle, certe foto! Mi chiedo perché si mettono in barca se sanno che poi è facile annegare…” “Be’, scappano da posti con la guerra, dove si muore di fame, c’è violenza… lo farei anch’io, se non ci fosse altra maniera.” “Ma cosa credono di trovare qui!? Finiscono per strada a fare i delinquenti, vivono come dei barboni…” “Be’, micca tutti… il nostro cuoco è rumeno, le inservienti sono polacche e ucraine… ne abbiamo bisogno.” “Vabbè’, ma ci dovrebbe essere un’altra maniera di accoglierli: insegnargli la lingua e le regole, dargli dove stare decentemente… non in questa maniera!” “Chi dovrebbe? Il governo? Le istituzioni? Pensa davvero che sia credibile, oggi?” “Be’, allora…” “… che stiano a casa loro? che si rassegnino ai loro disastri?” “Mi fraintende, io non sono così… Dico che si dovrebbe aiutarli là…” “Come abbiamo fatto fino adesso?” “Basta! Mi si vuole far dire quello che io non dico. Non si può discutere così.”.
No, non si può.
Questo solco, scavato a poco a poco, ormai è diventato un burrone insormontabile. Penso a come, a poco a poco, anche un secolo fa, si diffuse il virus, terribilmente mortale, dell’antisemitismo. Sì, è vero che c’era sempre stato nella storia, ma per lo più gestito e controllato dai potenti; se diffuso anche tra la gente comune – non tutta, però – aveva comunque in genere una virulenza pesante, però non mortifera. Ma dai oggi, dai domani, con la ripetizione ossessiva di slogan, con la diffusione capillare dell’ideologia, con la paura dell’isolamento nella responsabilità individuale, riuscirono, i gestori delle masse, a convincere la gente – se non a convincere del tutto, a far accettare, per quieto vivere – la inevitabilità, la giustezza del massacro. Sembra che un secolo di guerre mondiali e locali, all’insegna di nazionalismi e di razzismi poi riconosciuti tanto fasulli, stupidi, narcolettici, quanto infami e violentemente sanguinari, sia passato oltre come un’ombra leggera, senza incidere le coscienze. Che abbia ragione Hobsbawm, nel Secolo breve, quando dice che con gli stermini di massa sui fronti della Grande Guerra, l’umanità ha varcato dei limiti pericolosissimi che fino a quel momento non aveva osato superare? E che, quindi, si deduce, hanno aperto ad una possibilità di ulteriori terrificanti inimmaginabili violenze? Come Auschwitz, come gli stermini d’epurazione nella guerra dell’ex-Jugoslavia o in Ruanda, come il macello di donne a Juàrez in Chihuahua (Messico) e in Iran e in Afghanistan e nel nostro quotidiano, come i barconi che si lasciano affogare nel Mediterraneo, come le guerre che si fanno contro la gente inerme, a colpi di bombe e missili nonché di dighe fatte saltare e chissà, forse tra non molto, di bombe atomiche… Come l’immobilità di fronte ai poli che si sciolgono, alle foreste che si abbattono, alle specie di viventi che spariscono, all’Antropocene.
Dopo tanta sentita e declamata interconnessione dei viventi in documentari televisivi, trasmissioni più o meno ecologiste, slogan di politici e amministratori, saggi di studiosi di tutti i rami del sapere, ecc., se qualcuno si sofferma preoccupato sulle tante troppe conchiglie morte sul bagnasciuga, con un, tutto sommato piccolo, morso interiore, di sicuro una voce accanto lo conforta: “be’, dai!, sono poi solo conchiglie!”.
Solo conchiglie?! Cioè del genere: vongole per gli spaghetti?!
Scatta subito il consueto fervorino, a cui, per carità, crediamo, crediamo. Siamo qui a scriverne!:
Finché non cominceremo davvero a sentirci tutti gli esistenti intrecciati e interdipendenti e necessari gli uni agli altri, non saremo capaci di rovesciare il destino antropocenico in cui già stiamo. Finché non finiremo la violenza con cui abusiamo degli altri viventi di questa terra e con cui sottraiamo agli altri viventi il loro spazio vitale – viventi anche umani – reagiremo sempre allo stesso modo: condannando a morte, senza la debita riflessione su cause e circostanze, l’orso che ha ucciso un uomo; sminuendo al minimo, fino alla rimozione dalla memoria, la violenza che ci sta sotto gli occhi; cementificando ogni possibile restante lembo di verde o arenile, indifferenti anche alle recenti decisioni brasiliane circa la rimozione dell’Amazzonia.
Ok. Allora, chi comincia?
Lascia un commento