Gentilissimo Ministro Valditara,
mi chiamo Giacomo Zavatti, ho 22 anni. Sono uno studente di Italianistica e culture letterarie europee dell’Università di Bologna, già laureato in Lettere moderne e Consigliere Comunale del Comune in cui vivo a sempre, Nonantola. Lei certamente non mi conosce, ma io sento spesso parlare di Lei e delle Sue proposte sul mondo della scuola.
Non ho mai scritto a un Ministro, ma questa volta proprio non riesco e non posso stare in silenzio. Mi riferisco alle Sue recenti dichiarazioni relative alle proposte di riforma scolastica. Qualche sera fa, in occasione del programma “Cinque minuti” di Bruno Vespa, mi è parso di sentirLa anche piuttosto orgoglioso di queste proposte. Insomma, se mi trovassi a ricoprire il Suo incarico, non sarei così fiero.
Ma entriamo nel merito delle questioni: mi sento di esprimere, in modo determinato, le mie forti perplessità riguardo all’introduzione dello studio della lingua Latina nel curricolo della Scuola secondaria di Primo Grado (la scuola media) e alla previsione dello studio della Bibbia come parte integrante del programma formativo.
Ritengo che tali proposte (che mi auguro rimangano tali), pur motivate dall’intento (più o meno condivisibile) di recuperare elementi della tradizione culturale, risultino non solo totalmente inadatte al contesto odierno, ma comportano il rischio di allontanare la scuola dalle reali esigenze educative e sociali della popolazione italiana, che è sempre più eterogenea e multiculturale. Capisco la volontà impellente e onnipresente di valorizzare le tradizioni, un intento che, in linea di principio, potrebbe essere apprezzabile. Tuttavia, è evidente che ci troviamo in un contesto storico e sociale profondamente diverso rispetto a cinquanta/sessant’anni fa, in cui i ragazzi e le ragazze necessitano di strumenti formativi che vadano oltre la semplice celebrazione del passato.
Siamo fuori dai tempi: la scuola, infatti, dovrebbe (non a caso utilizzo un condizionale!) essere uno spazio inclusivo e dinamico, capace di rispondere alle sfide contemporanee come la digitalizzazione, l’interculturalità, i cambiamenti climatici, la geopolitica. Deve formare cittadini consapevoli, preparati a vivere in un mondo in costante evoluzione, non un luogo fossilizzato in un modello educativo che non rispecchia più le esigenze e le aspirazioni della società odierna.
E mi permetto di provare ad analizzare quelle che sono, in linea di massima, le proposte che Lei ha avanzato.
Parliamo della (re)introduzione del latino nella scuola secondaria di primo grado, per esempio.
Il latino, pur rappresentando un sistema fondamentale per la comprensione della nostra storia, della nostra cultura e della nostra lingua, risulta poco adatto se imposto in questa fase scolastica (perché di questo stiamo parlando). Una lingua tanto complessa richiede una maturità cognitiva che difficilmente i giovani studenti della secondaria di primo grado possono ancora sviluppare pienamente. Tale disciplina, infatti, potrebbe essere affrontata con maggiore consapevolezza e profitto nelle scuole secondarie di secondo grado, dove già trova spazio nel curriculum di quasi tutti i licei. Introdurre il latino nelle medie significa sacrificare tempo e risorse che potrebbero essere dedicate a discipline più in linea con le esigenze educative del XXI secolo, come il
pensiero critico, l’educazione civica interculturale e le competenze digitali, fondamentali per preparare gli studenti a un futuro sempre più complesso e interconnesso. In più, Ministro, mi permetta una considerazione che, sicuramente, riterrà scomoda: il latino presuppone una conoscenza avanzata della grammatica e della sintassi italiana. Se già oggi molti studenti incontrano difficoltà con la loro lingua madre (visto e considerato il panorama interculturale in cui l’Italia è inserita e di cui io, da italiano, vado orgoglioso), non sarebbe stato più appropriato proporre degli investimenti per rafforzare l’insegnamento dell’italiano, soprattutto per chi ha origini straniere? Forse, per Lei e per Voi, non sarebbe stato abbastanza “glorioso”, ma sarebbe certamente stato più utile.
Ancor più problematica appare l’idea di introdurre lo studio della Bibbia come parte obbligatoria del percorso scolastico. Sebbene si possa riconoscere il valore storico, letterario e culturale di questo testo, imporne lo studio rischia di conferire una connotazione confessionale a un sistema educativo che dovrebbe mantenersi rigorosamente laico (stiamo parlando di un principio Costituzionale, non di un’idea di Destra o di Sinistra). La scuola ha il compito di essere un luogo neutrale, in cui tutti gli studenti e tutte le studentesse, indipendentemente dalla propria fede o visione del mondo, si sentano rispettati e inclusi. In una società come la nostra, caratterizzata da una crescente pluralità di religioni e di visioni del mondo, è essenziale promuovere la comprensione e il rispetto reciproco tra culture diverse. Focalizzarsi esclusivamente sulla Bibbia, oltre ad essere, a mio avviso, pedagogicamente sbagliato, rischia di ignorare o marginalizzare altre tradizioni religiose e culturali, creando divisioni e alimentando sentimenti di esclusione. Un approccio più equilibrato potrebbe prevedere lo studio comparato delle grandi tradizioni religiose e filosofiche del mondo, offrendo agli studenti una visione globale e inclusiva delle diverse correnti di pensiero che hanno contribuito alla storia dell’umanità.
La reintroduzione della geografia, infine, rappresenta, invece, un intervento necessario per colmare una grave lacuna che, Le ricordo, fu causata dalle riforme introdotte dall’allora Ministro Gelmini. Questa disciplina è infatti imprescindibile per comprendere il mondo in cui viviamo e per analizzare i fenomeni geografici, sociali ed economici che caratterizzano la nostra epoca. Conoscenze di questo tipo sono fondamentali per formare cittadini consapevoli, preparati ad affrontare (lo ripeto ancora una volta) sfide globali come i cambiamenti climatici, le migrazioni e lo sviluppo sostenibile, temi sempre più rilevanti e urgenti.
Le riforme della scuola credo che dovrebbero guardare avanti, non indietro, e concentrarsi su ciò che serve davvero ai giovani di oggi per affrontare il futuro. Una scuola al passo con i tempi dovrebbe puntare con decisione sul potenziamento delle competenze linguistiche, privilegiando l’insegnamento delle lingue straniere per aprire le porte del mondo, e favorire lo sviluppo di capacità pratiche, tecnologiche e interculturali, indispensabili in una società globalizzata. Continuare a proporre modelli antiquati rischia di rendere la scuola un luogo statico e disconnesso dalla realtà. La presenza crescente di studenti provenienti da famiglie di origini diverse non è solo un dato di fatto, ma un’occasione preziosa per fare della scuola un vero motore di integrazione e di crescita collettiva. Ignorare questa opportunità significherebbe non solo tradire le esigenze dei giovani, ma anche compromettere il futuro di una società che ha bisogno di coesione, competenza e visione per affrontare le sfide globali.
Le chiedo, quindi, di riflettere attentamente sull’opportunità di queste scelte e di orientare la sua azione verso una riforma che risponda alle reali necessità dei giovani e della società italiana nel suo complesso.
La invito, inoltre, ad avviare un confronto diretto e autentico con le studentesse e gli studenti, le insegnanti e gli insegnanti, tutte e tutti, indipendentemente dalla religione, dallo stato sociale, dalla lingua, dalla posizione politica o dall’orientamento sessuale.
Mi permetta, inoltre, una riflessione su un punto cruciale: la scuola non deve essere portatrice di un’ideologia.
Eppure, dalle ultime uscite del Suo partito (Fratelli d’Italia), sembra prevalere una logica che rischia di politicizzare anche la didattica. Studiare il latino è forse diventato sinonimo di appartenenza alla destra, mentre utilizzare lo “schwa” è bollato come un atto di sinistra? Questo modo di pensare non solo è riduttivo, ma profondamente dannoso e gravemente offensivo per il ruolo educativo e neutrale che la scuola dovrebbe (anche qui torno a sottolineare l’utilizzo del condizionale) ricoprire.
La scuola è e deve rimanere un luogo di formazione, non un campo di battaglia ideologico.
La scuola è il luogo in cui si forma la società del futuro, e per farlo in maniera efficace è indispensabile ascoltare chi ne è protagonista ogni giorno. Questo significa mettere da parte pregiudizi e prospettive unilaterali, per abbracciare una visione ampia e inclusiva, che guardi realmente al bene della “polis”.
Essere un politico non significa solo prendere decisioni, ma farlo nell’interesse collettivo, creando spazi di dialogo e valorizzando la pluralità di voci che rendono il nostro Paese unico e ricco.
Questo è il senso più profondo del governare: non imporre una visione dall’alto, ma costruire insieme un futuro migliore per tutti e tutte.
Almeno su questo siamo d’accordo?
Con rispetto,
Giacomo Zavatti
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