Avrebbe compiuto da poco 100 anni don Lorenzo Milani, nato a Firenze nel 1923. Per ricordarlo, riprendo alcuni appunti stesi anni fa per dare forma a una riflessione che durava dal tempo dell’università, dal tempo di Lettera a una professoressa.
Quando ho intrapreso questa ricerca, affascinata nel frattempo dalla figura di don Primo Mazzolari, pensavo di poterla facilmente circoscrivere intorno ai rapporti tra i due preti e di occuparmi perciò di un angolo molto parziale della loro storia, un frammento legato al carteggio, agli articoli pubblicati su “Adesso” e poco altro. È bastato però cominciare a leggere le lettere di don Lorenzo a don Primo, a cui la fondazione Mazzolari di Bozzolo mi ha concesso gentilmente di accedere, per accorgermi che davanti a me si apriva un campo sterminato di indagine.
Moltissimo è stato scritto, molto è stato esplorato dell’universo di pensiero e di gesti, di comportamenti storici, di scelte di vita e di insegnamento di questi che molti chiamano ‘profeti’ del XX secolo, ma ogni volta che ci si accosta a una pagina del loro lascito intellettuale e umano, a un documento, alla loro voce nelle registrazioni che sono rimaste, nuovi campi di indagine si aprono, nuovi dubbi, nuove scoperte.
Dunque quanto scriverò è qualcosa di molto parziale, incompleto e aperto a contributi da ogni versante.
Va detto subito che il materiale su cui è possibile riflettere è parziale: abbiamo 7 lettere di don Milani a don Mazzolari, ma non abbiamo nulla di visibile, pubblico, di don Mazzolari a don Milani, soltanto il frammento di una lettera entusiasta di don Primo al giovane collega, dopo la pubblicazione, nel 1958, delle Esperienze pastorali. Il frammento è complessivamente fatto di due parti: la prima è leggibile in una lettera di don Lorenzo alla madre, la seconda parte a seguire è riportata in una pubblicazione del 1976 dell’editrice La Locusta di Vicenza (Rienzo Colla fu editore di molti scritti del prete di Bozzolo) che raccoglie Pensieri dalle lettere di don Mazzolari. Si tratta comunque di pochissime righe. Il resto delle lettere indirizzate a don Milani (che ne abbia scritte si evince dalle stesse lettere di don Milani) non è attualmente noto, anche se da tempo la Fondazione don Milani di Firenze e la Fondazione don Mazzolari di Bozzolo tentano di collaborare per l’edizione del carteggio.
Dunque facciamo con quanto abbiamo e cominciamo con una delle lettere di don Milani a don Mazzolari, quella da cui ho preso il titolo di questa riflessione:

Fare il prete in questi momenti fra questi popoli tanto traditi (ora poi che hanno aperto gli occhi sulle nostre grandi colpe sociali) è una umiliazione tale che voglio proprio sperare che il Buon Dio ce la conterà.
Non resta che pregarlo di dar tanta grazia ai comunisti che sappiano amputare loro a noi tutto il nostro marcio senza danneggiare troppo quel po’ di buono che c’è rimasto.
Insomma son tanti i discorsi che si può fare per non disperarsi! Lo capii in seminario quant’è provvidenziale che i superiori ecclesiastici siano così poco intelligenti e così poco religiosi. Se no non ci sarebbe nessun merito a sopportarli.
Dopo averla dunque così piamente consolata mi permetto…

Così don Lorenzo Milani, cappellano di San Donato a Calenzano, scrive il 18 aprile 1951 a don Primo Mazzolari, dopo aver saputo che il quindicinale “Adesso” è uscito, con un ultimo numero di sole quattro pagine (rispetto alle otto che avevano caratterizzato la sua forma fin dalla prima copia, il 15 gennaio del 1949), il 15 marzo 1951.
Altre ‘consolazioni’, al dolore di non essere capito e di essere drasticamente censurato, aveva avuto don Primo da quando, il 14 febbraio di quello stesso anno 1951, il quotidiano “L’Italia”, nella sezione del Notiziario cattolico, aveva pubblicato la nota del cardinale Ildefonso Schuster:

  “Adesso” quindicinale d’impegno cristiano, nonostante il titolo…non ha alcuna approvazione ecclesiastica…è vietato a tutti gli ecclesiastici, anche del clero regolare, anche di altre diocesi, di scrivervi o di cooperarvi. Firmato, Ildefonso Card. Arciv.

Molti gli avevano espresso la loro solidarietà, qualcuno lo aveva consigliato di continuare a pubblicare, altri criticavano la nota del cardinale e ne facevano una questione di diritto canonico.
Don Mazzolari decide di continuare a essere l’‘obbedientissimo’ in Cristo (come scrive al suo vescovo, monsignor Cazzani), e rimette la scelta della pubblicazione al direttore del giornale, l’ingegner Giulio Vaggi, che risponde:

In queste condizioni il giornale non ha che un dovere: adempiere ai suoi impegni

  • di fronte ai lettori: mantenendosi all’altezza dei principi e delle idee che ha così coraggiosamente e sfortunatamente difeso, fra essi quello della fedeltà alla Chiesa, incondizionata;
  • di fronte a te: che del giornale sei lo spirito animatore, seguendo la tua sorte, senza giudicare se sia la più comoda o la più vantaggiosa;
  • di fronte alla sua coscienza: il giornale che è una cosa viva, preferisce la libertà di tacere a quella di parlare con compromessi. Le lettere dei nostri lettori ne sono la spontanea testimonianza.

Con questo numero sospendo la pubblicazione del giornale.

Su “Adesso” don Milani, di cui abbiamo letto un frammento della lettera di ‘consolazione’ un po’ scanzonata e non priva di ironia che invia a don Primo, pubblica alcuni articoli; altre note si riferiscono alla sua esperienza di scuola.
‘Franco, perdonaci tutti: comunisti, industriali, preti’, 15 novembre 1949, firmato ‘Un prete fiorentino’. Racconta la storia di Franco un ragazzo disoccupato che si reca con il prete da un industriale e questi gli dà lavoro perché la presenza del prete garantisce che non si tratta di un comunista.                                                                                            
‘Per loro non c’era posto’, 15 dicembre 1950, firmato ‘Lorenzo Milani’. L’ampio articolo denuncia la grave situazione degli alloggi nella zona di San Donato
Il 1luglio 1958 esce un articolo su Esperienze pastorali di don Milani, ‘L’educazione salvezza dei poveri’, ampia analisi non firmata del libro Esperienze pastorali, ma con una nota critica che è lecito attribuire a don Primo.
Alle stesse Esperienze pastorali vi è un rimando nel numero del 1agosto 1958.
Una lettera ‘Caro don Milani’ compare il 1settembre dello stesso anno, chiede dell’impostazione della scuola di Barbiana, ed è firmata ‘un prete lombardo don C.M.’
‘Ho aperto gli occhi’, del 1ottobre 1958, è firmata da Benito Ferrini, uno studente di don Lorenzo a Calenzano e costituisce la risposta alla lettera precedente (“non del tutto convincente” per C.M.). Vi si parla della scuola di don Lorenzo e, senza approfondire la valenza pedagogica dei due modelli, si potrebbe far riferimento alla scuola che anche don Primo organizza a Bozzolo per una cinquantina di ragazzi tra i dodici e i quindici anni o a Cicognara, due o tre sere la settimana per adulti.
Ancora il 15 ottobre del ’58 sul quindicinale si trova un articolo ‘Il cristiano consapevole’, che riflette sulla ampia premessa di monsignor Giuseppe D’Avack alle Esperienze pastorali. Nel sottotitolo si legge: Smetterla di difendere ad ogni costo il Governo, la democrazia Cristiana, i loro uomini e le loro opere…
Infine il 1gennaio 1959 compare, con il titolo Alti comandi, nella rubrica “Costume”, la notizia della condanna di Esperienze pastorali. Qui vengono riportate alcune parti della recensione-discussione del 1luglio dell’anno precedente, quasi a sottolineare anche gli aspetti non condivisi, perché “Adesso” non è un giornale che possa vivere quietamente.
Otto presenze di don Milani o di rimandi alla sua opera e alla sua attività non sono grande cosa, ma si distribuiscono su tutto l’arco temporale di pubblicazione di “Adesso” e, soprattutto, toccano momenti importanti della vita di don Milani, importanti almeno tanto quanto lo è la pubblicazione di “Adesso” per don Mazzolari: la prima esperienza di cappellano a San Donato di Calenzano, subito dopo la scelta del seminario e l’ordinazione sacerdotale, e la pubblicazione delle Esperienze pastorali che, nonostante l’ampia introduzione di monsignor D’Avack, arcivescovo di Camerino, e l’imprimatur del cardinal Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, viene condannato dal Sant’Uffizio che ne ordina il ritiro dal commercio e ne proibisce ogni ristampa e traduzione (20 dicembre 1958).
Strana coincidenza: don Primo Mazzolari, che aveva appena pubblicato, presso Rienzo Colla (La Locusta, Vicenza), un libretto intitolato “La parrocchia”, esulta per la pubblicazione del giovane prete fiorentino.
Dice che non ha potuto arrivare alla fine perché preso da un’incontenibile voglia di buttarmi le braccia al collo (Alla mamma, lettera 95). Era toccata anche a lui, ben più anziano ed esperto rispetto agli atteggiamenti della curia e degli ambienti cattolici nel loro variegato insieme, la condanna del S. Uffizio.
Infatti del libro del giovane collega, recensendolo su “Adesso”, don Primo dice:

Non mancheranno i lettori scandalizzati, reclutabili facilmente tra coloro che non hanno mai fatto cura d’anime e tra quelli che di solito giudicano senza leggere o con le consuete pregiudiziali verso coloro che osano scrivere senza un titolo accademico. In genere, gli scritti dei parroci rurali fanno paura per la loro poca educazione nel dire le cose che vedono. Però, se qualche volta quel mondo poco commendevole della cosiddetta cultura pastorale cattolica badasse anche a queste povere voci, forse il problema della ‘cura d’anime nel mondo moderno’ avrebbe camminato un po’ più verso qualche soluzione meno inconsistente e balorda.

Si può aprire qui, dove don Primo parla dei parroci di campagna e della loro poca educazione nel dire le cose che vedono, anche una parentesi sulla sua capacità di declinare il linguaggio, sempre chiaro ed incisivo, sul valore universale delle cose che afferma, traducendolo in termini di viva spiritualità.
Don Lorenzo, rivolgendosi ai cappellani militari, rovescia la strategia dicendo a loro, sacerdoti, di non volersi riferire al Vangelo:

È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.

Ecco quel fare il prete tra questi popoli tanto traditi che don Milani dirà a consolazione del silenzio imposto a don Primo, il maestro di 33 anni più anziano, l’amico d’infanzia (come dice nella lettera del 4 dicembre 1949) di cui aveva letto Impegno con Cristo, “con passione, quand’ero neofita”. Il silenzio a cui sarà a sua volta condannato più volte negli ultimi dieci anni della sua vita breve.
Nel giugno del 1958 don Lorenzo caldeggia una recensione da parte di don Primo, perché a Firenze il libro s’è fatta molta strada, ma fuori Firenze nessuno lo conosce e mi dispiacerebbe che fosse recensito prima dai giornali laici che da quelli cattolici. (Dico tra parentesi che a don Milani capiterà di vedersi pubblicata la Risposta ai cappellani militari, sul periodico “Rinascita”, nel marzo del 1965. A fornirla al periodico politico culturale era stata una sezione fiorentina del P.C.I.).
Ha già ricevuto una lettera di cui è attualmente difficile rinvenire traccia ma che evidentemente parla delle nuove teorie francesi di sociologia della religione, dato che il suo giudizio è categorico: quelle sono opera di calcolatrici elettroniche e di pensiero teorico, mentre il mio è opera d’arte e d’amore.

Se le Esperienze pastorali di don Milani si vedono cadere addosso la censura nel dicembre del 58, pochi mesi dopo, nell’aprile del 59, anche “Adesso” dovrà chiudere i battenti, con la morte, il 12 aprile, di don Primo.
Restano ancora otto anni di vita al prete che sta ormai confinato a Barbiana. È lì dal 1954, relegato in una parrocchia che è destinata a morire per le migrazioni delle popolazioni del Mugello, e di monte Giovi in particolare, verso luoghi di lavoro più sicuri. Vi è arrivato con lo stesso sorpreso dolore dello Stefano Bolli del romanzo di don Primo Mazzolari, La pieve sull’argine (1952), quando arriva nel paese di Corvara (Cicognara):        
Confinandolo a Corvara, il vescovo aveva creduto di togliergli ogni pericolosità. Qualche maligno aggiungeva che intendesse fiaccarlo…Don Stefano non domandava di essere compreso, né che si mansuefacessero alle sue parole. Egli non parteggiava, amava: e quel suo discreto ma decisivo sforzo verso un’interpretazione leale del suo ministero, bastava a dargli pace.
La Chiesa un po’ alla volta si rianimava: riprendeva a pensare per molti, sopra tutto si disponeva, più che a difendere un privilegio, ad affermare il diritto comune, quello dell’uomo.

Lui però continuava a rimanere solo di fronte a un movimento travolgente e spietato, come solo si trovava di fronte ai poveri, che minacciati e da tutti abbandonati non potevano neanche pensare che un prete potesse difenderli a viso aperto.

Per don Milani gli anni di Barbiana sono segnati subito dal comparire di quel male che lo avrebbe portato alla morte a soli 44 anni. Otto anni segnati anche dal progressivo delinearsi di un impegno pedagogico innovativo ed eversivo, tutto orientato a costruire coscienza critica attraverso le pratiche più vicine alla sensibilità e alla comprensione popolare e al contempo più sofisticate e profonde. Gli ultimi anni sono quelli delle esperienze dirompenti: la Lettera ai cappellani militari e la Lettera ai giudici sulla questione, allora appena aperta, della obiezione di coscienza e poi la Lettera a una professoressa, compilata coi ragazzi sul letto di morte.
Molto accomuna i due preti sulla questione dell’obiezione di coscienza e forse non è improprio dire che don Mazzolari funge da battistrada per don Milani.

L’obbedienza non è più una virtù è il titolo che raccoglie le due lettere citate di don Milani ai cappellani militari e poi ai giudici, titolo che riecheggia in modo insistito le parole di don Primo.
Un tempo l’arbitrio del principe obbligava i sudditi a gravi sacrifici, ma le milizie almeno erano mercenarie, quindi volontarie in un certo senso. Oggi, con la coscrizione obbligatoria e la nazione armata, tutti siamo costretti ad accettare il ‘sacro dovere’ di uccidere e farsi uccidere.
Nella luce di questa disumana realtà va riesaminata dai cattolici, con maggior benevolenza che per il passato, l’‘obiezione di coscienza’, considerata come un tentativo di difesa primordiale della ripugnanza cristiana al mestiere dell’uccidere.
In così drammatica situazione, la Chiesa può limitarsi a elogiare il dovere e la fedeltà ad esso? Non sarebbe una maniera, sia pure indiretta   e bene intenzionata, di togliere il respiro delle coscienze e di aiutare l’oppressione?…
Come si riconosce il diritto di sciopero contro l’abuso del capitale, così si deve riconoscere il dovere della disobbedienza contro gli abusi dell’autorità. Se il potere viene direttamente o indirettamente da Dio per il bene comune, ogni volta che chi lo esercita si mette fuori o contro le direttive divine, non nella sua vita personale ma con un comando non conforme alla legge morale, il dovere dell’obbedienza non tiene.…

Come disobbedire senza cadere nell’anarchia e nell’arbitrio individuale, senza dissolvere l’ordine costituito e impedire il bene comune?
…La gerarchia, l’ordine costituito non sono beni assoluti…
Qualora gerarchia, ordine costituito, fedeltà al dovere concludano con l’oppressione dell’anima e il suo asservimento all’iniquità, credo che sia necessario e urgente porsi il problema della ‘difesa dell’anima’…
voglio solo dichiarare che la disobbedienza morale può minacciare l’ordine, ma che l’obbedienza indiscriminata, quindi pagana, lo distrugge certamente…
Come cristiano, quando disobbedisco per ordine morale, obbedisco; quando mi rivolto, ricostruisco (Risposta ad un aviatore, in La Chiesa, il fascismo e la guerra, 1966).

Il testo che più imperiosamente rimanda a questa etica del tutto nuova per quegli anni è certamente Tu non uccidere (1955) che raccoglie molti degli scritti di Mazzolari apparsi nella rubrica di “Adesso”, ‘Pace nostra ostinazione’. Anche questo scritto è destinato a cadere sotto la falce del S. Uffizio: non potrà più circolare e ogni copia dovrà essere ritirata dal commercio.

Grandi e belle realtà la patria, il popolo, la libertà, la giustizia… Ma esse van servite con la pace, ché la guerra ammazza la patria, la quale se non è un nome vano, è fatta di cittadini, di case; immiserisce il popolo; fa servi di dittatori o stranieri; e con la miseria eccita furto, rapacità e sfruttamento, per cui l’ingiustizia aumenta. Chi ama veramente la patria le assicura la pace, cioè la vita: come chi ama suo figlio gli assicura la salute. La pace è la salute di un popolo (Tu non uccidere).

  Don Milani si avvale di un altro linguaggio (potrebbe essere aperto un capitolo proprio sulla differenza di linguaggio nei due sacerdoti), rivolgendosi ai cappellani militari (anche don Primo era stato cappellano militare nella prima guerra mondiale) che, il 12 febbraio 1965, avevano sottoscritto (e pubblicato sul quotidiano di Firenze, “La nazione”) una lettera in cui l’obiezione di coscienza veniva definita un insulto alla patria e ai suoi caduti.

Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi avete però diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto. (Lettera ai cappellani militari, p. 12).

Era naturalmente piaciuta molto ai comunisti questa frase finale che costò a don Milani l’insistenza sul nome di “prete rosso”, lo stesso che veniva attribuito a don Primo; per entrambi forse varrebbe la pena ripensare lo slogan di don Primo: non a destra, non a sinistra, non al centro, ma in alto! non tanto per lo slogan, quanto per la possibilità che quello stare in alto consente: una visione più certa e più capace di comprendere quelli che don Primo chiamava i lontani e don Lorenzo gli ultimi.

  1. Avatar Martina Bugada
    Martina Bugada

    Grazie Nella di questo prezioso scritto che, oltre a commuovermi nel ricordo di questi due preti davvero speciali, mettono in evidenza la loro profezia, la loro chiarezza di pensiero e di pratica, la loro relazione e la loro attualità. Un saluto Martina

  2. Avatar Flaviana Mantovani
    Flaviana Mantovani

    Grazie Nella per questo scritto!
    Flaviana

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *