Le vittime sono lasciate nel grido afono di un nuovo abuso.
A volte i webinar sono un motore incredibile di ricerca sociale e di sollecitazione etica e politica. Così è stato per l’incontro online svoltosi il 3/11/2023, a cura del Laboratorio Re-in-surrezione (di cui fanno parte l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Donne per la Chiesa, agenzia Adista e altre singole interessate al tema), incontro dedicato alle religiose della Comunità Loyola abusate da Marko Rupnik. L’obiettivo è stato quello di rompere il muro di silenzio sugli abusi, ascoltare con attenzione, condividere, dare valore, fiducia, credibilità, risonanza all’esporsi delle vittime di abusi negli ambienti religiosi, animati/e dalla Ruah, una chiamata, una vocazione alla verità e alla giustizia. Clelia Degli Esposti, coordinatrice del Laboratorio Re-insurrezione ha sottolineato lo sconforto e l’indignazione delle donne abusate e la possibile richiesta di giustizia e di veder fatta verità su questa storia. Ma tutte le relatrici hanno registrato un silenzio da parte delle istituzioni, un silenzio che sconcerta, un silenzio che apre al ricatto, una forma di ulteriore abuso delle autorità che cercano di non fare luce sul problema e sul processo in corso. Gli abusi del predatore Rupnik e le coperture da parte della gerarchia ecclesiastica sono state ampiamente raccontate dalla stampa. Ma che ne è delle vittime? Che ne è della comunità delle religiose? Che ne è di queste vite spezzate e del loro futuro? L’evento, oltre che denunciare l’esistente, ha tentato di riflettere su queste domande, per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti della tragedia delle numerose vittime, ridotte al silenzio, nella istituzione ecclesiastica e nei movimenti carismatici. Bisogna dare parola al grido afono contro gli abusi del sacerdote. Le religiose abusate hanno subito un’offesa inguaribile. La sofferenza delle vittime è stata esposta come una cicatrice aperta, sono state circuite in nome di Cristo, hanno esposto il loro dolore, denunciato la manipolazione e gli abusi, le ferite profonde della loro dignità di persone. Un grido assordante che le istituzioni ecclesiastiche non hanno ascoltato. Rupnik prima espulso dall’ordine dei Gesuiti è stato poi accolto dal vescovo di Capodistria, la scomunica è stata revocata e può di nuovo amministrare i sacramenti e continuare ogni esercizio. Un’operazione di protezione ingiustificabile, che fa urlare. Ma il 27 ottobre il pontefice toglie la prescrizione e restituisce la speranza che Rupnik possa essere processato. Bisogna chiedere giustizia e riparazione per le vittime, denunciare e stare all’erta, indagare con precisione i fatti. La complessità dell’abuso colpisce drammaticamente varie dimensioni: sociale, psicologica, giuridica, culturale e antropologica. Complessità che va focalizzata per capire le responsabilità originarie del problema. Dinamiche oscurate e celate dalla stessa istituzione ecclesiastica.
Ludovica Eugenio, direttora di Adista, ha spiegato con estrema attenzione le coordinate della complessità del fenomeno degli abusi. Esistono nelle varie storie degli elementi che ritornano: la presenza di una figura carismatica, la dinamica di mistificazione del discorso teologico e della spiritualità per giustificare una prassi abusiva su persone adulte all’interno di una istituzione ecclesiale, il silenzio delle vittime, stigmatizzate e abbandonate anche economicamente, la protezione degli abusanti da parte della gerarchia. Per le donne abusate è più difficile farsi ascoltare ed essere credute: scatta un pregiudizio per il quale si suppone che la donna sia consenziente. Eppure questa violazione radicale dell’intimità nasce da un abuso di potere. O meglio: da un confluire di elementi che sfociano in un uso perverso del potere, che può arrivare fino all’abuso sessuale. Il forte incantamento spirituale verso la guida religiosa, spesso brillante e seduttiva, il contesto particolare di asimmetria di potere possono unirsi a una fragilità psicologica della preda. La forzatura dell’autorità spirituale mira dunque all’assoggettamento del/la singolo/a. Il contesto è importante, è un altro degli attori in gioco, perché giustifica l’azione del predatore e condiziona la preda fino a schiacciarla sotto un controllo comportamentale e psicologico (spesso l’abuso si verifica nel rapporto confessore-penitente; guida spirituale-persona guidata). La rete di protezione strutturale sistemica di cui gode il predatore, il luogo silenzioso e inaccessibile che non fa emergere e non nomina l’abuso, favoriscono il silenzio causando spesso nelle vittime una condizione depressiva: si sentono sole, abbandonate e piene di vergogna. Leggere la struttura sistemica delle relazioni interdipendenti è pertanto necessario per capire l’abuso, che è psicologico ma anche spirituale nel momento in cui è una manipolazione fatta in nome di Dio. Le cause archetipiche sono tanto di origine culturale – la Chiesa ha una struttura verticistica e patriarcale, permeata da una misoginia strisciante, che costituisce un piano inclinato verso l’abuso: l’85% degli abusanti sono uomini – quanto teologica: gli uomini che abusano nella Chiesa sono in gran parte ordinati, hanno dunque un ruolo di potere inattaccabile. Il prete infatti esercita il suo potere come servizio religioso, come sacrificio di sé, alter Christus, e ciò lo rende quasi ontologicamente differente rispetto e agli occhi dei laici, secondo un copione che ha una sua specificità cattolica. All’interno di questo copione e di questa relazione di potere, si scambia per consenso una malintesa concezione dell’obbedienza.
Una chiave per la comprensione della complessità del fenomeno degli abusi può essere la vulnerabilità, di per sé concetto neutro: può essere fragilità esistenziale in una fase della vita, ma è di base “porosità ontologica” (concetto caro a Marie-Jo Thiel), permeabilità alla relazione, che è una condizione dell’essere umano che ci rende esposti. Il concetto di vulnerabilità, però, andrebbe applicato non solo alle vittime, ma anche ai predatori (vittime a loro volta di una formazione molto carente sul piano psicologico e affettivo) e a un contesto che rende fragili: si parla di “vulneranza”, che è appunto la capacità di un contesto di rendere fragili e potenzialmente predisporre all’abuso.
In questa dimensione strutturale, l’istituzione ecclesiastica è riformabile? La chiesa, che si dice consapevole di questo problema da anni, vuole davvero riformarsi profondamente cessando di proteggere gli abusanti e di autoproteggersi? Il problema viene spesso ancora oscurato. Si compiono operazioni cosmetiche, ma si perpetua la mancanza di trasparenza e l’impunità, per la paura dello scandalo e per difendere l’immagine istituzionale.
Fabrizia Raguso, psicologa, terapeuta familiare, ex religiosa della Comunità Loyola, professore associato alla università Cattolica Portoghese, ha voluto dar voce al silenzio afono della comunità Loyola, far riflettere per fare una meta/analisi delle storie. L’abuso nelle sue forme più devastanti è principalmente un abuso psicologico che può sfociare poi in un abuso sessuale. La comunità Loyola è emblematica. Il commissariamento della comunità era stato affidato a un vescovo italiano di formazione gesuita, con uno sguardo non propriamente esterno. Lo stile di vita era basato su piccoli gruppi che vivevano in appartamenti nei condomini metropolitani. Uno stile totalmente innovativo ma innestato in una struttura abusiva e controllante. Spesso l’abuso ha radici antiche che rende i soggetti predisposti ad essere abusanti e abusati. Le donne religiose dovrebbero imparare a capire la loro ferita esistenziale, per potersi difendere dalla dipendenza verso figure autoritarie. Bisogna affrontare il lutto di ciò che si è perso e ricostruire il futuro proprio per superare le infiltrazioni manipolative traumatiche. La ferita inespressa delle donne religiose predispone al silenzio e alla sottomissione. A volte le donne non accettano di confrontarsi con la loro storia e con le responsabilità effettive del rapporto. Nessun dialogo, nessuna apertura, nessun riconoscimento della responsabilità. Prevenzione vuol dire investire nell’educare al rispetto di se stessi e degli altri, riconoscere ed educare alla vulnerabilità dell’altro come principio di autenticità, investire nella lettura della costituzione delle comunità come elemento di prevenzione dell’abuso. La restituzione esistenziale, spirituale, economica non è possibile ma è giusto che qualcuno si prenda la responsabilità di accompagnare le persone di queste comunità che si sono allontanate.
Cecilia Sgaravatto, ricercatrice giuridica indipendente dell’equipe del progetto Prometeo, spiega la loro ricerca che parte dalla raccolta di esperienze delle vittime fuoriuscite dagli ordini e dai contesti abusanti dalle congregazioni religiose, provenienti da tutti i continenti. Registra una dimensione pubblica caratterizzata da una spiritualità evangelica caritatevole e una dimensione privata gerarchica abusante e settaria, con illeciti civili penali e costituzionali. Necessario un approccio giuridico, sociologico e psicologico per affrontare queste criticità. Per tutelare i diritti umani dei soggetti coinvolti, l’analisi multidimensionale del problema va affrontata con coraggio. L’impostazione patriarcale clericale della chiesa apre agli abusi. Le vittime raccontano che il numero degli abusi è molto superiore a quello denunciato per timore, per vergogna. I voti di castità, di povertà e di obbedienza aprono all’abuso sessuale. La sessualità repressa porta a una maturazione non equilibrata della sfera sessuale, l’obbedienza apre all’abuso psicologico. Dire di no vuol dire violare il voto di obbedienza. La “grazia di stato” distrugge il pensiero autonomo e critico, la povertà apre agli abusi patrimoniali. L’amore oblativo impedisce il diritto all’autodeterminazione. La vulnerabilità è esito oggettivo di questi elementi che mutilano l’individuo. Non c’è però la coscienza sociale e individuale del danno psicologico sessuale e esistenziale. Non avere il diritto di autodeterminarsi crea una sostanziale difficoltà a potersi difendere da ogni offesa. Bisogna creare le condizioni sociali e organizzative per prevenire l’abuso in una logica preventiva e di giustizia successiva. Gli illeciti, ogni abuso sessuale, patrimoniale e psicologico, sono penalizzati dalla legge. Eppure la struttura patriarcale della chiesa continua a rendere la figura del sacerdote un soggetto autorevole e carismatico, mentre le religiose vengono relegate in ruoli domestici, senza parità di genere e predisponendo a relazioni squilibrate e abusanti. È necessario che le vittime si organizzino in associazioni per condividere le esperienze e denunciare ogni abuso, contro ogni isolamento che avvilisce e deprime. Il meccanismo risolutivo degli abusi deve coinvolgere più livelli, a partire dal monitoraggio costante delle strutture. È fondamentale creare una struttura che prevede la cura e il sostegno delle vittime per l’aiuto economico e psicologico, per non lasciare solo le donne che hanno il coraggio di rompere il silenzio.
Paola Cavallari, scrittrice femminista, ispiratrice dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, scardina alla radice la “cultura del silenzio” sugli abusi. Dove cercare le radici del male? Bisogna riflettere sul simbolico inerente agli abusi di potere, di coscienza e sessuali, guardato da una prospettiva femminista. La pratica femminista incentrata sul “partire da sé”, su esperienze vissute, vuole attraversare tutta la sofferenza vissuta. “Tutte noi, infatti, abbiamo patito un abuso dal sistema di potere clericale- sostiene– siamo state violate nella nostra intimità da uno o più rappresentanti del clero. L’abuso spirituale può produrre ferite assai profonde, ed è sempre a monte dell’abuso sessuale. Rompere il muro di silenzio sugli abusi significa farsi concave, ricettive, fare spazio all’altro; ascoltare con attenzione, condividere, dare valore, fiducia, credibilità, risonanza all’esporsi di vittime di abusi negli ambienti religiosi e non solo.” Afferma Cavallari che rompere il muro di silenzio sugli abusi all’interno dell’universo ecclesiastico cattolico, vuol dire spezzare la cultura del segreto, architrave del suo impianto. Cita Veronique Margronche scrive su questi scandali: “Gridare la collera, una necessità vitale”. In ogni ambiente le donne violate sono difficilmente credute e spesso sottoposte a una vittimizzazione secondaria. Anche nel caso della comunità Loyola, le sorelle che si sono esposte sono state censurate con un atto di silenzio: il loro è stato un “grido afono”, l‘abuso si è quindi moltiplicato. Quel grido afono deve divenire un gridare a perdifiato ancora più forte, sull’esempio di Bartimeo nell’incontro con Gesù (Mc 10). Le coraggiose testimonianze delle religiose vittime sono frutto di un percorso lungo decenni, travagliato e tragico. Il trauma dell’abuso provoca una vita devastata, fino al suicidio. Per rendere verità e giustizia, bisogna perseguire la via del ristabilimento dei torti e delle offese. Bisogna perseguire gli abusatori, gli operatori di insabbiamenti e coperture. È necessario risvegliare la consapevolezza, la responsabilità, l’interesse e l’attenzione pubblica su questa drammatica questione. Il sistema di potere è ecclesiale e sessista, perché clericalismo e sessismo non sono scissi. Per fare la verità, è necessario decostruire il sistema di potere monocratico ecclesiale di uomini celibi che da secoli si autocomprendono sacramentalmente separati (ovvero verticalmente al di sopra), non solo ordinati ma sovraordinati, spiriti eletti, dotati di una differenza ontologica conferita- secondo loro- dal disegno divino. L’inferiorizzazione dell’altro (il non eletto) è perciò la conseguenza. Nei riguardi delle donne la superiorità è di doppio grado. Noi affermiamo – continua Cavallari – che non ci sia soluzione di continuità tra sistema clericale/gerarchico/kyriarcale e il sistema sessista: essi governano congiuntamente la chiesa cattolica. Nel sistema clericale/gerarchico/kyriarcale vige il principio del potere assoluto, la logica della brama acquisitiva di prestigio, onori e beni, vige la logica della sacramentalizzazione del capo (che è la porta d’ingresso all’ idolatria); vige un esercizio del potere verticalmente inteso. Lo stile perversamente seduttivo, ma prevaricatore, di alcuni suoi rappresentanti, stile che si ammanta dell’aura del sacro, usa il principio dell’obbedienza o della purezza del cuore, o la logica dell’amore per addomesticare e plagiare. Il sistema sessista/ kyriarcale/virile, che governa la chiesa, è all’opera fin dalle origini della cristianità, camuffato come volontà divina, in un tradimento gigantesco delle parole del Maestro. Le donne non potevano godere dello status di “immagine di Dio”, riservato ai soli uomini. Il sistema kyriarcale si è stabilizzato nei secoli, in una progressiva opera di esclusione/colonizzazione delle donne, che si avvaleva del paradigma “o santa o puttana”. “Oggi noi sappiamo – scrive Rosemary Radford Ruether – che la teologia dell’onnipotenza di Dio ha come controparte una spiritualità spregiatrice del mondo, che proietta sulla femmina il disgusto, l’avversione e la paura, come se la relazione vera con il femminile dovesse significare per l’uomo il ritorno allo stato di soggezione della immersione preconscia nel grembo materno.”. Il principio della virilità si sposa coll’assoggettamento, la sottomissione che si esercita sia nel sottomettere che nell’essere sottomessi. L’habitus gerarchico è inscritto nella costruzione della virilità. “L ’ego maschile sembra piuttosto oscillare tra il dominio sugli inferiori e la sottomissione ai superiori”, scrive Rosmary Radford Ruether, nel suo saggio Gaia e Dio. La libido dominandi (espressione da P. Bourdieu nel suo libro Il dominio maschile), è intrinsecamente un prodotto dell’economia dei beni simbolici androcentrici. In Italia si parla di questi argomenti ancora troppo poco. Anche i media indietreggiano. Il male sconcerta, destabilizza, non si vuol sapere, vedere, non si vuole essere sconvolti nei propri convincimenti. Veronique Margron parla di un sistema di omertà. Si tende poi a psicologizzare, ma il male è sistemico, non episodico né emergenziale. Occorre inquadrare tali fenomeni in un’ottica sistemica, e non come fatti scandalistici. Il controllo, aperto o dissimulato, i preti lo hanno esercitato per secoli sui corpi/anime femminili. Palese il loro disinteresse/cinismo/apatia nei confronti delle vittime. Marie-Laure Janssens, un’altra ex religiosa abusata scrive: “Io parlavo di menzogne e manipolazioni e loro traducevano con attentati gravi alla disciplina ecclesiastica”. Il sacramento della confessione, dal Concilio di Trento in poi, era un tribunale della coscienza; il verticedel controllo, però, avveniva sulle anime femminili. Gli uomini potevano confessarsi, le donne dovevano farlo! Ne dipendeva del capitale dell’onore. Ma non solo sulle anime si “imponevano le mani” dei sacerdoti. Il fenomeno della sollecitatio ad turpia, cioè l’uso da parte del confessore delle circostanze della confessione per abusare sessualmente della donna era assai diffuso. La perfidia dottrinale decretava che il reato era quello dell’abuso nelle circostanze della confessione, NON abuso della donna: l’accusa era di abuso del sacramento. I confessori “colpevoli” poterono contare sull’appoggio di potentissimi ordini religiosi. Da ciò la difficoltà a rendere effettiva la volontà espressa dal Sant’Uffizio. La donna ovviamente era stata lei la tentatrice, ed era colpita con l’infamia. Il perpetratore non aspetta altro che si taccia o si denigri la vittima, ora come allora. Ma nell’universo ecclesiastico, l’ingiunzione – o la persuasione- a tacere trova il suo apogeo: qui è fiorita quella cultura del SEGRETO dottrinalmente e teologicamente giustificata.
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