Roberto Marconi incarna la poesia, per una profondità sensibile della sua interiorità, onesta, generosa, attenta, lenta, disposta sempre e comunque all’incontro. La sua delicatezza, la sua misura, hanno impegnato il suo studio in modo incessante, al punto da proporre questa opera dopo molto molto lavoro e, soprattutto, in omaggio a Giovanni Prosperi, adulto favoloso per la sua pregiata autorevolezza. Apro con queste righe perché prima del verso voglio riconoscere il tessuto civile e esistenziale del poeta.
Umberto Piersanti scrive l’introduzione, certamente riconoscendo la qualità della penna dell’allievo e grato per il canto rivolto al cuore del territorio marchigiano.
Su questo punto vorrei approfondire. Roberto Marconi non tanto canta esplicitamente le vene, le vie, le persone, i luoghi, le presenze organiche direbbe Richard Wright, di Potenza Piceno, ma crea uno stile scrittorio speculare all’identità orografica delle Marche e del territorio di e attorno a Potenza Piceno. La gentilezza della lingua di Marconi è impastata di intensa tensione lirica, con apici che poi riscendono, come ondulazioni collinari. Marconi non offre un’esaltazione retorica per cui “il paese” è proposto come luogo sublimato di vivibilità, come nella scrittura e nella voce di Franco Arminio. È ben altro. La filigrana di Marconi evita ogni semplificazione: esige sempre approfondimento e una lettura con occhio e orecchio profondo, immerge nella luce e nella luce del dolore, nella luce del tempo, nello spessore delle ombre che dettano i profili delle case e delle persone.
L’opera ha una pelle apparentemente distesa orizzontalmente, da margine a margine: il lettore affrettato potrebbe nominarla prosa. Credo, invece, che la poesia stia dentro l’inchiostro, nella tensione della scrittura, nel respiro, nel ritmo tra una parola e l’altra, tra le curve collinari del pensiero.
L’opera finisce con la parola brindisi. Senza punto. Per questo sono grata di questa rovesciante chiusura in apertura festosa.
Raccolgo una citazione dal testo, tratta da Isaia 5,8. La condivido come magistrale ammonimento politico e spirituale.
Guai a voi,
che aggiungete case su case e chi campi su campi,
finché non vi sia più spazio, manco un pezzo di terra
per gli umili e così restate soli (i padroni) nel paese.
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