Rosalba

Scrivere su 27 anni di amicizia con Rosalba occupando una sola pagina non è semplice: lei stessa, così severa con quanto io stessa le inviavo delle mie piccole scritture, farebbe mille obiezioni, anche se poi l’affetto che accompagnava il comune sguardo su un mondo che non corrispondeva più alle nostre aspettative sanava le divergenze.

Ci siamo incontrate in una occasione straordinaria: era il luglio del 1997 e l’EZLN, l’Esercito di liberazione del Chiapas, aveva indetto il secondo Incontro Intercontinentale per l’Umanità e contro il Neoliberismo ospitato dalla Spagna. Assieme a mia figlia Sara, in bus dall’Italia, dopo una tappa a Madrid, arrivai stremata a Ruesta, sui Pirenei dove la Confederazione del Lavoro spagnola aveva preparato uno spazio per l’accampamento delle tende, dei tavoli di discussione e un enorme stand, il comedor, per il ristoro. Rosalba, che veniva dal Guatemala, da Quetzaltenango, con Aaron, il suo compagno, era con me al tavolo 5 dove, fra gli altri temi, si trattava un tema trasversale, quello del patriarcato e dei movimenti femministi. C’erano uomini e donne da tutto il mondo, ma fra noi due si stabilì subito un filo particolare che è rimasto poi indissolubile e che, ragionandoci anche oggi nel guardare indietro, non ha mai smesso di essere fondante del nostro rapporto, quello della consapevolezza della nostra “parzialità”. Allora si accompagnava al discorso politico sulla colonizzazione, alle lotte degli indigeni che Rosalba sosteneva con un progetto a Totonicapan in Guatemala; per me si legava soprattutto alla posizione maturata nel femminismo della differenza che in quegli anni andavo consolidando.

Rosalba e Clelia con la famiglia MenchĂą

Al ritorno dalla Spagna per Rosalba ci fu un viaggiare fra due continenti: prima all’Aia, in Olanda, poi a Milano (nella “famosa” mansarda, la 20 metri quadri, di Via San Gottardo dove sono stata ospite una notte), poi a Oaxaca in Messico, a Worcester negli Stati Uniti, di nuovo in Guatemala e infine a CittĂ  del Messico. Per una stanziale come me, che ancora abito nel paese in cui sono nata, fu un’impresa seguirla, ma gli scambi epistolari erano veri scritti sapienti che potrebbero costituire una interessante raccolta. Nell’ottobre del 2006, libera finalmente dagli impegni scolastici, la raggiunsi a CittĂ  del Messico dove giĂ  cominciava ad essere centrale nella sua vita l’attenzione e l’amore per gli animali: c’era allora Tina, un gattone soriano trattato come un principe, che sarĂ  uno dei protagonisti del suo ultimo romanzo e c’era un cane nel cortile, Tell, salvato dal randagismo. Facemmo 20 ore e piĂą di pullman per arrivare a Totonicapan in Guatemala per conoscere la “mitica” famiglia MenchĂą che ospitò per un periodo Rosalba e a cui apparteneva Cristobalina, collaboratrice   nel progetto di salute riproduttiva per le donne del territorio. Nello spostamento fra un continente e l’altro ci fu il tempo anche per una splendida estate in cui, sull’argine del Po, davanti a casa mia, ci godemmo in bicicletta il paesaggio del fiume, i profumi dell’orto di Nino, la raccolta della rucola che Aaron si portò via come un dono prezioso.

Intanto la lettura di Anna Maria Ortese nutriva la nostra attenzione e il nostro avvicinamento al mondo non umano che per entrambe si materializzava nella cura delle nostre bestiole, nel dolore per la loro perdita, per lei anche in una militanza nelle associazioni antispeciste e nel mutamento radicale della sua alimentazione per non dovere essere fonte di sofferenza e sfruttamento.  “Non mi interessa piĂą quello che accade sulla terra- diceva quando le inviavo qualche articolo sui disastri del mondo- mi interessa la Terra, come luogo misterioso della vita di ogni specie”. E quella straordinaria sapienza e raffinatezza di pensiero che seppe mettere nei suoi testi, nei suoi saggi sulle contraddizioni del mondo, si ritrovava anche, da sempre, ma con maggiore frequenza nei tempi della malattia a Milano, col pensiero alle amate bestiole a San Cristobal, ultima sua residenza, nei lavori che chiamava donneschi: il ricamo, il cucito, il lavoro a maglia, con confezioni perfette, splendide, per nipoti ed amici. Orgogliosa che anche Ginevra, la mia nipotina, si cimentasse con l’uncinetto sotto la mia guida, mi scrisse: “A 7 anni, ospite di una mia zia a Noto, all’uncinetto feci il corredino alla mia bambola rubando la lana che a lei serviva per delle calze da notte: potĂ© farne una sola! Anche se poi Ginevra smetterĂ , presa da altri amori, speriamo che le resti il ricordo e diventi una risorsa”.

Cara Rosalba restiamo entrambe comunque legate a questo “corpo celeste” cui ci richiama la nostra Ortese: “Credo in tutto ciò che non vedo e credo poco in quello che vedo…, credo negli spiriti dei boschi, delle montagne, dei deserti, forse in piccoli demoni gentili (tutta la natura è molto gentile). Credo anche nei morti che non sono piĂą morti (la morte è del giorno solare). Credo nelle apparizioni. Credo nelle piante che sognano e si raccomandano di conservare la pioggia. Nelle farfalle che osservano, improvvisando, quando occorra, magnifici occhi sulle ali. Credo nel saluto degli uccelli che sono animali felici e si sentono all’alba sopra le case. In tutto credo, come i bambini. In una sola cosa non credo: nell’uomo e nella donna che esistono ancora…” Ti vedo annuire su questo scritto, sorridendo, ricordandomi la poesia che mi inviasti nel tuo ultimo natale:

Concedetevi una vacanza

Intorno a un filo d’erba,

dove non c’è troppo di ogni cosa,

dove il poco ancora ti festeggia

con il pane e la luce,

con la muta lussuria di una rosa.

Clelia Degli Esposti

Ho conosciuto Rosalba molti anni fa; veniva dall’America Latina, dal Guatemala a quel tempo, e, attorno al tavolo della casa di Clelia, lo stesso tavolo che ha raccolto negli anni tantissime nostre discussioni, proposte, riflessioni, parlava della sua esperienza in una associazione di tipo umanitario e ne descriveva pregi e difetti, difetti soprattutto. Mi rimasero impresse le sue parole profonde e motivate, la forza delle sue scelte e la maniera pacata e lucida di trasmetterle.Apparteneva a quella generazione di storiche che hanno saputo tracciare per noi tutte una modalità femminile di attenzione agli eventi e alla vita; non è vero che maschile e femminile si possano confondere e possano valere l’una per l’altro: quelle storiche, insegnanti di università o di scuola secondaria e primaria lo hanno mostrato, non solo portando alla luce maestre del passato antico e recente, ma segnandone la specifica valenza, lontana dalla pretesa di oggettività scientifica e mettendo in gioco prima di tutto se stesse, nell’intreccio tra ricerca e vita. Come I lumi e il cerchio di Emma Baeri, Cercando Luisa di Maria Bacchi o, appunto, I saperi illeciti del meticciato di Rosalba Piazza.

Ho sotto gli occhi un libretto, prestito di Clelia, che, dal titolo già annuncia una postura politica: del dominio umanitario e della civile barbarie, pubblicato da Colibrì, nella collana dell’Oroboro, nel 1999. Gli autori: Margherita Porete e Jonathan W. Loguen, nomi pescati nella storia, una beghina morta sul rogo nel XIV secolo e un prete metodista che si batté per l’abolizione della schiavitù nell’Ottocento. Certo non potevano scrivere insieme; infatti sotto i loro nomi si celano Rosalba Piazza, Piero Coppo, fondatore dell’etnopsichiatria, e altri e la traccia del pensiero che il libro dipana sta nelle parole dell’ultima pagina: “…il superamento della presente organizzazione delle società umane sul pianeta, bloccata nelle sue sperimentazioni e nel suo divenire dagli interessi di minoranze che hanno avuto e hanno il potere di farlo, e dalle logiche di un modo di produzione e consumo non più finalizzato alla protezione e allo sviluppo della vita, richiederebbe una vera e propria rivoluzione che riordini il mondo attorno ad altre priorità e modelli.”

Credo che Rosalba abbia cercato sempre, per giungere a una verità sfaccettata, le vie più difficili e complesse, sia nell’analisi delle dinamiche del presente che nelle ragioni storiche, ancorate al passato ma intimamente legate alla contemporaneità. I suoi libri, scritti dopo le accurate ricerche negli archivi messicani, Colonizzazione ed evangelizzazione e La coscienza oscura dei nativi, testimoniano del legame profondo tra passato e presente e della necessità di un’indagine che sappia leggere nelle pieghe più riposte dei fatti le ragioni delle ingiustizie di oggi.

Da tempo Rosalba viveva a San Cristobal de Las Casas, ma negli ultimi anni, colpita dalla malattia, piĂą frequentemente soggiornava a Milano dove oltre ai parenti aveva ritrovato care amiche siciliane.

Tra queste mi piace ricordare Emma Baeri che, per lei, alla notizia della morte, scrive:

“Dal nostro incontro nel collettivo femminista Differenza Donna, agli inizi degli anni Settanta, la nostra amicizia non si è mai interrotta. Solo la mia pigrizia, la mia vecchiaia, i miei occhi velati e la paura di non saper corrispondere alla sua ultima sofferenza mi hanno fatto trascurare alcune sue ultime richieste di dialogo, l’estate scorsa. Rileggo le centinaia di lettere che ci siamo scambiate nel tempo e piango. Un’amicizia tenace, struggente, felice, complice la nostra, anche per un amore insolito…i gatti, lo sguardo e il soccorso dei randagi, la condivisione dei consigli, delle gioie e dei dolori di questo amore è stato un filo indistruttibile…Le risate, le lacrime, gli abbracci del nostro ultimo incontro a Catania quel giorno del dicembre scorso in una stanza inondata di sole nella zona del Monastero dei Benedettini sono il ricordo di lei, di te, di noi, che mi conforta ma non mi assolve. Arrivederci amica mia, compagna femminista gattara, insostituibile. Grazie di tutto. Emma”.

Anche noi diciamo grazie a Rosalba.

Nella Roveri

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