Quel popolo di artiste che, per molti motivi, entrano faticosissimamente, tenacemente, ostinatamente, nella luce, attraversando densità, ustioni, mortificazioni, per una propria dignitosa riconoscibilità esistenziale, artistica, sociale. Quel popolo di donne riceve violenza fino alla resa, condannate all’esilio e indotte al suicidio, quelle donne rientrano dopo la morte quasi nell’ombra, se non interamente nella notte. La società patriarcale si è macchiata da secoli di femminicidio anche intellettuale, a volte con la complicità inconsapevole di altre donne. Ancora oggi, assistiamo a una drammatica asimmetria di genere diffusa in tutto il mondo.
Cogliere nel pagliaio letterario l’ago d’oro di Nella Nobili porta a un’altra conferma dolente se non straziante. Per la casa editrice Solferino, Maria Grazia Calandrone ha curato l’antologia dei testi poetici di Nobili con un appassionato saggio introduttivo che contribuisce a forgiare il ritratto di questa donna poeta e traduttrice e artista così battuta dal contrario da terminare la sua vita per propria volontà. La sua biografia offre uno spaccato storico e sociale notevole per comprendere la portata malevola delle credenze assunte, interiorizzate di tanta parte della società.
Nella Nobili nasce a Bologna il 6 gennaio 1926. Padre emigrante e madre lavoratrice, assieme alla sorella costituiscono una tipica famiglia poverissima. Come in tante altre case, i piccoli dopo le elementari, malgrado il loro desiderio di studiare, sono costretti a lavorare per sopravvivere. Lavoretti come la consegna del latte, manualità occasionali in una fabbrica di ceramiche vicino a Porta Sant’Isaia e in una piccola azienda di via Rialto che realizza astucci per gioielli. La ragazzina entra in fabbrica a 14 anni, nel 1940, in pieno fascismo, nella vetreria Ignudi che sforna fiale per medicinali. Qui riceve, come le altre donne, quotidianamente, la sua dose velenosa di monossido di carbonio durante un tempo di lavoro tra le 10 e le 12 ore al giorno. Il periodo infernale della fabbrica, che terminerà tre anni dopo per la chiusura dello stabilimento a causa della guerra, sarà il paesaggio che le tatuerà non solo la memoria ma anche la poesia, sviluppando, rispetto a Luigi di Ruscio, un’amorevole solidarietà con le compagne. Una compassione sociale per la condizione condivisa.
Un vicino di casa, sapendo la sua passione per la poesia, le presta libretti d’opera, iniziandola a un approfondimento letterario che, oltre i testi di Arrigo Boito e Francesco Maria Piave, la conduce a Salgari, Dumas, Carducci, e molto altro. Gli anni della fabbrica le porgono occasioni di incontro e di innamoramento. Lei, orientata verso il proprio sesso, riversa nella sua poesia l’amore inespresso. Il trauma della guerra aggrava, oltre la sopravvivenza, anche la necessità di impegno civile. Lei e la sorella si offrono di aiutare a recuperare i corpi dopo i bombardamenti, ad accogliere i soldati feriti provenienti dai centri di smistamento. Il ritorno in fabbrica sarà nel centro di Bologna in via Zamboni, nella vetreria. Qui vi rimane fino al 1949. Scrive: “Lunghe e terribili sono state le mie crisi di sconforto per la mia solitudine e per la prigione che mi impediva di scrivere. Mi limitava anche un’altra prigione: le cognizioni per potermi esprimere. Durante la guerra comincia veramente a vivere. Mi misi a studiare con una furia che mi pareva quasi di ardere”. Da una lettera ad Alberto Frattini. Impara da autodidatta l’inglese e il tedesco, leggendo in originale e traducendo Dickinson e Rilke. Cominciano a circolare le sue poesie. Entra a far parte di gruppi giovanili con Pasolini, Renata Viganò, Enrico Berlinguer. Conosce Giorgio Morandi e per stima viene da lui ricevuta in casa. Il pittore le regala un quadro che, successivamente, sarà costretta per necessità economiche a vendere. Le viene pubblicato il suo primo libro di poesia per le Edizioni Tosi e Danzi di Roma che riscuote notevole successo tanto da entrare tra i 25 finalisti del premio Viareggio, molto apprezzato da Sibilla Aleramo. Trasferendosi a Roma, tenta di sopravvivere con il lavoro letterario. Entra nel salotto di Maria Bellonci. Tuttavia, seppur apprezzata, assume agli occhi degli artisti, la figura di poetessa-operaia-proletaria, cosa che le procurò sempre dolore. Scrive: “Forse. E così, dopo un soggiorno di tre anni in una Roma sempre sontuosa, bugiarda, fuorviante e, per salvaguardare il capitale unico e insostituibile che è la volontà di armonizzare vita e ideale, ho preso la mia smilza valigia, da emigrante, e sono andata all’estero: in Francia, precisamente.” Qui, risorge in un nuovo lavoro, quello di decorare oggetti e gioielli con riproduzioni di opere d’arte famose. Brevetta un metodo e ottiene un notevole successo esportando anche all’estero, guadagnando così bene da comprarsi una casetta a Cachan, nei pressi di Parigi. Simone de Beauvoir e Maria Luisa Spaziani uccidono il suo nuovo tentativo di emersione letteraria. L’amica cineasta Michka Gorki decide di fare un adattamento cinematografico dell’inedito La jeune fille a l’usine. Comincia con la compagna a riesplorare il mondo operaio, intervistando operaie e lavoratrici, volendo documentare le loro strazianti condizioni di lavoro. Il libro di poesia ispirato soprattutto alla fabbrica non riporta l’aspettato consenso e nel frattempo si ammala, soffrendo terribili emicranie e dolori causati dalle sostanze velenose inalate per confezionare i gioielli. Le dosi di Optalidon se leniscono il dolore la prostrano in cadute depressive irrimediabili. È il 18 febbraio del 1985 che si congeda.
Vorrei…
Vorrei morire a lungo –
A lungo riposare…
Udire le stagioni passare –
L’azzurro di altri cieli navigare…
*
Sento nascere il tuo desiderio
Come un sospiro di sole
Indugia su un verde prato –
Sento nascere il tuo desiderio
Ai lati della mia figura.
E come i fili d’erba
A uno a uno si accendono –
Io luminosa divento.
*
La fabbrica è un muro
Io con spavento
Ne gratto il cemento.
*
Vestite di luce
Amiche mie attraverso montagne di vetro
Io vi guardavo dal movimento delle vostre labbra
Oltre il frastuono voi cantavate a squarciagola.
*
Tu l’hai amata quella ragazza dagli occhi grandi
Di cui ho scordato il nome ma potrei ancora
Districare uno a uno i fili castani dei suoi capelli
Sfiorare le sue labbra con un dito la sua pelle dorata
Imperlata di sudore. Potrei ancora
Bere quelle perle la mia libertà
Senza intralci. La mia libertà
Selvaggia.
*
Der Wind
La dolce vita, Maria
Passa, Maria-la-Vita
Maria-la-Morte. Der Wind.
Quando sarò guarita
Avrò sessant’anni. Maria
La vita passa. La Vita
È passata come il vento
Passa sul fogliame secco
Con grida stridenti.
(1983)
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