La storia di un libro è spesso complessa, affidata a molte mani, come una consegna che ha necessità di essere portata, attraversando barriere e impedimenti. Soprattutto, quando l’opera è un corpo cantante che sparge al vento ingiustizie subite, eccidio, orrori, spostamenti forzati, lingua e religione perseguitate, massacrate, esiliate per politiche criminali, tra l’altro ancora in corso.
Il cimitero dei lumi è un canto straordinario che, con potenza lirica, offre tutto questo, in una tensione tragica fendente la dolente rassegnazione, il lutto, l’ammutolimento di un intero popolo che ha subito uno sterminio e un denso silenzio da parte della comunità internazionale.
Il lume di quest’opera, qui in Italia, è stato portato dalle mani di Antonella Anedda che ha firmato la prefazione, spiegando come questo lavoro di traduzione è stato frutto di una tesi magistrale, discussa presso l’Università della Svizzera italiana di Lugano nel 2016 con la commissione di cui lei era esaminatrice. L’opera, pubblicata originariamente nel 2004 e tradotta in moltissime lingue, risultava qui in Italia ancora sconosciuta. Con sensibilità accorata, Antonella Anedda mi parlò di questo prezioso libro, che lessi con tutta la responsabilità possibile. Sul ponte dell’amicizia spesso avvengono passaggi di staffette vitali. Così, con altrettanta mia partecipazione, passai a Marco Munaro, ponte su ponte, al ponte del sale in persona, il carico da salvare e da ridistribuire editorialmente. Così, ora, è disponibile la luce de il cimitero dei lumi.
Colgo dalla nota introduttiva di Jamal Zandi tracce fondamentali di descrizione dell’opera:
“…racconta di uno genocidio, le cui vittime sono state i contadini che vivevano sulle montagne e nelle pianure del Kurdistan meridionale… È la storia di Al-Anfāl, la campagna di uccisione di massa del popolo curdo attuata dall’esercito iracheno tra il 1986 e il 1989, che costituisce il culmine di un processo iniziato con l’ascesa al potere del Partito Ba’th in Iraq nel 1968, e la conseguente arabizzazione delle aeree petrolifere del Kurdistan, in seguito alla cacciata dei curdi dalle aeree assediate. … Più di 180.000 donne, uomini, bambine, bambini, furono deportati nei campi di concentramento situati nel sud dell’Iraq, dove persero la vita. …Potremmo facilmente enumerare gli interessi economici o commerciali che un’area fertile di petrolio come quella curda riveste, ai quali il poeta stesso allude, o il ruolo politico cruciale del Kurdistan nel mantenimento degli equilibri tra Oriente e Occidente. …L’espansione dell’Islam nei primi anni della sua affermazione verso l’altopiano iranico e il Kurdistan fu concomitante con la distruzione del Kurdistan meridionale, al confine con il mondo arabo. …Bekas, mette in luce nella sua autobiografia:’ la storia secolare dei Califfati e Wālī dell’Islam dall’Oriente all’Occidente ci dice l’universalità di quella maniera di governare: hanno costruito centinaia di minareti con i crani dei loro oppositori.’ …usando tutte le armi a disposizione: gas tossici, bombe al nepalm, e armi chimiche, come accaduto nella città di Halabja nel 1988, dove l’impiego di iprite e gas nervino provocò la morte di migliaia di persone.”
Le parole di Jamal Zandi portano il peso della tragedia.
Antonella Anedda ritrae con tratti essenziali e esaurienti il poeta:
“Sherko Bekas, giornalista, poeta, corrispondente dalle montagne, schierato in difesa del suo popolo, disilluso e disgustato dalla diversa povertà in URSS e USA, costretto all’esilio in Svezia.”
La forza di questa poesia epica moderna insegna, mette in campo e in canto le eterne dinamiche distruttive dell’homo oeconomicus, contro la dignità e il diritto alla vita di tutti. Bekas come Demodoco dà voce alla storia, con parresìa, più che con coraggio, senso etico e intensità artistica.
Avere la poesia in corpo e cantarla detta sempre assoluta responsabilità.
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