Scritto dalla luce, Di Felice Edizioni, 2021, costituisce un ulteriore, importante tassello dell’affresco che l’Autore, libro dopo libro, è andato costruendo e uno dei punti piĂą alti del suo lavoro di romanziere. Ritroviamo le atmosfere, le geografie e le antropologie tipiche del suo mondo – e qui ricordo che, come sosteneva Piero Chiara, uno scrittore è innanzitutto un topografo che costruisce un suo luogo preciso, diverso da tutti gli altri e che prima di lui non esisteva – che Michilli ha creato e via via ampliato, approfondito e restituito ai suoi lettori. Aggiungerei che scrittore è solo chi riesce a dare forme e voci proprie al mondo cui dona residenza nelle pagine: per tali ragioni, e per molte altre, Roberto Michilli è scrittore vero ed autentico. Ma, e questa è una novitĂ di assoluto rilievo, Michilli nomina, per la prima volta, i suoi luoghi per cui troviamo qui, come nei precedenti romanzi, non solo riconoscibili le sue contrade ma detti i nomi, fra gli altri, di Civitella del Tronto, Campli, Atri, Teramo; una dichiarazione d’amore per la sua terra che entra nella letteratura attraverso la sua opera di trasfigurazione e rivelazione. Anche i temi che gli sono propri, e che rappresentano la sua cifra di romanziere, sono presenti nel libro, ma con importanti novitĂ : troviamo infatti le dinamiche dei desideri che rompono sistemi di equilibri – il nucleo centrale della sua visione – insieme alla malattia, alla morte, alla tossicodipendenza e alla malattia mentale che vengono posti e affrontati con un rispetto umano così profondo e, insieme, con un tocco di rara levitĂ che confermano non solo la sapienza e la potenza della sua scrittura, ma rivelano molto della postura morale – in senso laico e lato – dell’Autore. Il titolo, tratto dal verso di una poesia presente nel testo, rimanda subito alla scrittura con la luce, cioè alla fotografia che è, in effetti, uno dei fili del romanzo. La vicenda narrata, che si snoda dal settembre del 2009 al giugno del 2010, ruota attorno alla scelta del professor Norberto Accursio – un personaggio indimenticabile – consulente della Fondazione Tercas, di affidare la realizzazione del calendario del 2011 al giovane, talentuoso e giĂ famoso, fotografo Sandro Rastelli. In quest’opera vengono coinvolti Giulio, veterinario cinquantunenne, in servizio presso l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, anche lui fotografo di valore, per accompagnarlo a visitare le chiese e i luoghi del teramano scelti per il calendario, e per mettergli a disposizione i suoi archivi e, come segretaria di redazione, sua figlia Aurora, di ventitrĂ© anni. Giulio, un uomo pieno di interessi e passioni, dalla fotografia alla politica, dalla montagna alla barca, dalla musica al volo a vela, ha visto la sua vita andare letteralmente in pezzi prima per la morte, a causa di un incidente con il motorino, del figlio quindicenne Marco e poi, di crepacuore, della moglie Rita, una psicologa che aveva resistito ai colpi inferti dalla morte del figlio, ma non aveva retto anche alla scoperta della tossicodipendenza della figlia Aurora. Lei, che aveva aiutato tanti ragazzi non era stata in grado di vedere il gorgo che aveva inghiottito la figlia; gorgo dal quale, con grande fatica e dedizione assoluta, Giulio era riuscito a tirarla fuori e restituirla alla vita. Quella di Giulio, invece, si è assestata, quasi richiudendosi su se stessa, su una linea di sopravvivenza tesa, quasi soltanto, all’ascolto dei passi di Aurora e sostenuta dalle paure di possibili ricadute anche se, in quel momento, tutto sembra confermare la soliditĂ della sua rinascita e delle nuove speranze fiorite, come la ricerca di un lavoro, dopo la sua laurea triennale in Beni Culturali. Linea di sopravvivenza, sopravvivere a se stessi sentendosi divisi a metĂ , fra la spinta a lasciarsi andare, trovando pace nell’abbandono e quella, contrapposta, ad aggrapparsi al relitto della vita per difendere la parte che è rimasta e che per questo è, adesso, la piĂą preziosa: tutto ciò viene reso da Michilli senza ricorrere a toni urlati, a tinte sovraccariche di emotivitĂ ma, al contrario, con pochi, precisi tratti che fanno emergere le agglutinazioni di dolori che hanno invaso tutti gli spazi, con una capacitĂ davvero rara e tale da meritare una particolare sottolineatura. La richiesta di collaborare con il fotografo del momento, una autentica star, sembra allentare il cappio del dolore e riconsegna a Giulio parti della sua vita lasciate cadere via, pezzi divenuti ormai pesanti e ingombranti nella nuova dimensione di solitudine. Il romanzo si apre con l’incontro, al ristorante, di Giulio e Aurora con Sandro e la moglie Iris, una donna di grande bellezza e fascino, e con il professor Accursio e la moglie Elvia. GiĂ dalle prime pagine l’Autore traccia i ritratti dei protagonisti e, come in tutti i suoi libri, ci porta, grazie ad una efficace e felice misura di sobrietĂ e profonditĂ , a conoscere i loro sentimenti e tormenti, le loro psicologie e le ragioni, che via via prendono forma, di scelte e fughe, di desideri e paure, di slanci e ripiegamenti. Giulio trova la voglia e il coraggio di confidarsi, di aprirsi, come da tanto tempo non gli capitava piĂą, con Iris e di sentir rompere, quasi una sensazione fisica, la crosta sotto cui aveva stipato e chiuso tutta la sua vita precedente. Nelle giornate trascorse a mostrare a Sandro le chiese e i tesori in esse custoditi, Giulio tesse un dialogo sempre piĂą fitto ed avvolgente con Iris: un percorso parallelo il loro, rispetto a quello del lavoro, che propone alle loro vite nuovi incontri e nuovi incroci. E qui torna, prepotente, la forza dei desideri che trovano una nuova lingua ed esigono nuovi spazi, rompendo gli argini consolidati di equilibri che hanno impastato amori e rancori, dolori e speranze, frustrazioni e riscatto. Questo particolare itinerario, che si snoda su due livelli, uno tutto dentro le movenze abituali dei rapporti quotidiani e l’altro sotterraneo e magmatico, sarĂ percorso da tutti i personaggi con esiti e conseguenze diverse. Va evidenziato come proprio in questo preciso punto, cioè nell’emersione dei desideri e nelle scelte che vengono fatte o evitate dai protagonisti, si posizioni il punto d’osservazione di Michilli e come da questa specifica prospettiva muova la sua visione, che è assolutamente originale e unica nel panorama della narrativa italiana contemporanea.
Il farsi e il ripiegarsi delle vite, di fronte a scelte che mettono in discussione l’intero tragitto compiuto, consentono a Michilli di offrire una lettura nuova delle dinamiche dei rapporti umani e delle costellazioni delle passioni, che illumina versanti rimasti spesso in ombra o ai margini. Altro elemento da mettere in rilievo, è la concezione etica della responsabilitĂ della scrittura, propria dell’Autore, che si rinviene nelle pagine dedicate alla malattia mentale del fratello di Giulio, Andrea. La dicibilitĂ del dolore, comunque generato ed espresso, è sempre una questione spinosa e scivolosa, in cui il passo falso della retorica spicciola o della rappresentazione banale e melensa dei buoni sentimenti è sempre in agguato. Per questa ragione è ancora piĂą rimarchevole il modo assolutamente rispettoso, scevro da pregiudizi e stereotipi, con cui Michilli affronta il tema e di come questo entri, senza forzature, nel disegno della narrazione contribuendo in un modo che, leggendo, appare necessario, al suo compiersi. Ancor di piĂą la svolta che, ad un certo punto Andrea imprimerĂ alla sua vita, con il sostegno di Giulio – che, anche qui, compie un percorso di rinascita emotiva superando paure, asperitĂ e rabbie tenaci che hanno segnato il loro rapporto e quello di Giulio con la sorella Daniela – si inscrive con naturalezza in quelle dinamiche di svolte e di scelte che interesseranno tutti i protagonisti. Le pagine dedicate alla descrizione dei territori, dei monumenti, dei paesi e dei loro microuniversi di umanitĂ permettono a Roberto Michilli di tracciare un piccolo, prezioso atlante, in cui trovano spazio i racconti dei giochi e delle guerre delle bande dei ragazzi, la storia della famiglia e del palazzo di Giulio, l’uccisione del maiale e la successiva preparazione di salsicce, prosciutti e piatti tipici del territorio. Qui assume un rilievo del tutto particolare il professor Norberto Accursio divoratore gaudente di cibo, esploratore di osterie e ristoranti, gastronomo sapiente e infaticabile ricercatore dei dispensatori dei piaceri della tavola. Ma Accursio è anche professore ordinario di storia dell’arte contemporanea e storia delle tecniche artistiche – le pagine dedicate ad una sua lezione sono un autentico pezzo di bravura – nonchĂ© preside della FacoltĂ di Scienze della Comunicazione, consulente dei maggiori musei d’Europa e d’America, ultimo rampollo di una famiglia illustre. Generoso con chiunque abbia talento, è temuto ma non amato dalla cittĂ che gli preferisce un pennivendolo, pronto a recensire con uguale entusiasmo e superficialitĂ , il pittore della domenica e il poeta dialettale senza alcun talento, la sagra e il concorso di bellezza. Per Accursio, personaggio complesso, ricco di sfaccettature e contraddizioni, legato a Giulio da sincera amicizia e affinitĂ spirituale, il calendario e i progetti collegati, dalle mostre al libro fotografico, sono la scommessa della vita che, se vinta, potrĂ regalargli l’affetto della sua cittĂ : il premio in assoluto piĂą ambìto. Ma Accursio e il recensore seriale di tutto e tutto nello stesso modo, incarnano due figure, archetipe potremmo dire, di un tema molto caro all’Autore e cioè la differenza, mai abbastanza rimarcata, fra il vivere in una cittĂ di provincia, con uno sguardo e un respiro non prigioniero dei confini e l’essere invece il cantore di un ripiegamento dentro le angustie degli spazi e delle prospettive municipali, delle invidie e delle frustrazioni, delle patacche spacciate per produzioni artistiche, della esaltazione dell’artista locale come espressione dell’unica dimensione possibile: quella locale appunto, come unico mondo e metro possibile. Pagine, queste, che andrebbero lette e meditate perchĂ© costituiscono un antidoto potente contro il veleno del provincialismo che si insinua in fin troppi spazi. Lo sviluppo della vicenda regala, nelle pagine finali, un colpo di scena che rivela un altro dei percorsi paralleli – quello di Sandro e Aurora – imbastito dentro il dipanarsi dei giorni di lavoro e all’emergere di desideri che rompono gli assetti che si andavano definendo, e mette i protagonisti di fronte alla necessitĂ di reggere l’urto di avvenimenti sconvolgenti e provare, ancora una volta, a ridefinire la propria vita. Questa conclusione, che sembra tagliare con un coltello speranze e progetti, genera una ridda di domande che continuano a danzare intorno ai grovigli di torti e ragioni, di rimorsi e legittimitĂ delle passioni. Roberto Michilli mette tutti gli elementi davanti al lettore e lascia andare il filo degli avvenimenti fino alla definizione delle traiettorie e dei destini, senza confezionare giudizi, lasciando al lettore il compito di farsi, eventualmente, il proprio con una visione narrativa che permette di cogliere il profilo di ognuno e, insieme, il dispiegarsi del gioco delle relazioni. Michilli in Scritto dalla luce, in modo diverso dai romanzi precedenti, disegna figure complesse di uomini e donne che si misurano con le proprie fragilitĂ e contraddizioni, affrontando la lacerante compresenza di sentimenti contrastanti, dal senso di colpa alla voglia di vendetta, dai desideri alle paure, dal dolore alla rabbia. Grazie a queste configurazioni di chiaroscuri, l’Autore riesce a rendere i percorsi dei protagonisti che cercano la propria luce – ognuno la propria luce – con cui provare a scrivere nuove pagine di vita. Forse risiede qui il significato piĂą profondo del titolo e dell’universo simbolico che evoca. Per questo Scritto dalla luce è non solo un libro bello e intenso, ma anche un romanzo che regala il piccolo grande miracolo di personaggi che, a lettura finita, diventano amici che continuano a farci compagnia e rendono un po’ piĂą bello e un po’ piĂą ricco il mondo che ci portiamo dentro.
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