Dopo il bellissimo romanzo d’esordio, Magnificat (Fazi, 2022), ambientato nelle sue terre native, l’amato Polesine, Sonia Aggio sceglie per il suo nuovo romanzo un’ambientazione totalmente diversa, ma non meno amata, Bisanzio e l’impero d’Oriente, oggetto dei suoi studi universitari, un mondo divenuto a lei familiare attraverso studi e conoscenze germogliate da una grande passione.
Come nel suo primo romanzo anche in questo Sonia Aggio dà spazio all’elemento magico, soprannaturale: lì misteriose presenze abitanti le acque del fiume, qui voci femminili e presenze fantasmatiche che indicano al protagonista il suo futuro.
Ecco, siamo arrivati al protagonista di questa storia, Giovanni Curcuas, detto Zimisce. Sonia Aggio ammette di essere rimasta affascinata da questo personaggio che occupa un posto marginale nei libri di storia bizantina, eppure, da semplice uomo d’armi, riesce ad arrivare fino alla stanza dell’imperatore.
Fino a un certo punto della storia è un ligio esecutore degli ordini di suo zio Niceforo Foca, prima domestikos, ossia comandante supremo dell’esercito imperiale, e poi, alla morte prematura dell’imperatore, imperatore esso stesso.
Poi qualcosa si incrina nel rapporto tra i due. L’imperatore lo teme a causa dei suoi successi bellici e lo mette da parte. Giovanni Zimisce sembra accettare questo allontanamento, ma poi si accende la sua ybris, quella rabbia che cova dentro di sé come una creatura e che ogni tanto esplode incontrollata.
Mi fermo qui, gli elementi per farsi catturare da questa storia ci sono tutti: la magia, il potere, gli intrighi di palazzo, un uomo coraggioso che non si sente considerato e varca i confini tra il bene e il male. Una storia che Sonia Aggio maneggia con grande maestria, facendoci entrare nei reconditi pensieri di questo personaggio fatto di luci e di ombre, così come l’inquietante Norma protagonista del precedente Magnificat.
Eppure gli esordi di Giovanni Zimisce come strategos, come comandante di una divisione di soldati, non erano stati positivi: il suo esercito era stato sorpreso in una gola dall’esercito arabo di Saif-al Dawla e sbaragliato. Giovanni Zimisce, gravemente ferito, si salva per miracolo.
Ascoltiamo questo passaggio del romanzo:
“La corazza gli ha salvato la vita ma sotto è tutto un livido, e forse ha una spalla slogata. La strada frana sotto gli zoccoli del cavallo; il sussulto gli fa scivolare il piede sinistro fuori dalla staffa.
Esausto, Zimisce tira le redini. Questa esitazione potrebbe ucciderlo, ma che importa? Se sfuggirà ai suoi inseguitori, dall’altra parte delle montagne troverà il disprezzo dei suoi uomini e la rabbia del domestikos.
Si toglie l’elmo e fissa le alture velate dalla pioggia. Gocce minuscole gli toccano il viso. Presto l’acqua cancellerà ogni traccia, confonderà i sentieri, e il fango legherà le zampe del suo cavallo, il cui corpo muscoloso già trema.
Zimisce si china ad accarezzargli il collo, e quando rialza lo sguardo si accorge del cavaliere apparso in cima al sentiero – immobile, nero, estraneo all’erba rada e ai massi pallidi che li circondano. (..) Poi lo riconosce, e pensa: sono impazzito. Perché di fronte a lui si staglia – occhi neri, barba curata, pelle olivastra – Costantino Foca. Ed è impossibile perché Costantino è appena morto, di febbre o di veleno, nelle carceri di Aleppo” (p. 56).
Non amo i romanzi storici, la storia va affrontata con rigore e le lacune nei fatti, dove ci sono, non vanno occultate con elementi di fantasia mescolati a eventi storicamente documentati.
Ma in questo caso la struttura romanzesca ha il sopravvento e la storia è solo la miccia che accende la fantasia.
“La scintilla da cui ha avuto inizio questa avventura risale ad un breve aneddoto che si è trasformato nel tempo nella scena che ora apre il romanzo: mentre una tormenta di neve infuria sul Bosforo, un uomo incappucciato e armato si dirige verso il palazzo imperiale di Costantinopoli. Questo è stato il principio, il seme di questo innamoramento che è continuato ed è divenuto più profondo a mano a mano che studiavo i protagonisti di quella vicenda, Niceforo Foca e Giovanni Zimisce. Nelle loro vite ho trovato tutto quello che potevo desiderare da una storia: dolori e passioni, alleanze e tradimenti, e soprattutto un uomo qualunque che riesce a fare la Storia” (Sonia Aggio).
SONIA AGGIO, Nella stanza dell’imperatore; Fazi, 2024
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