Luca Mastrocola nel suo Il cammino d’Abruzzo, Masciulli Edizioni, 2023, intreccia, con grande efficacia narrativa, i diversi fili che compongono, pagina dopo pagina, il disegno di un paesaggio umano e naturale, in cui è possibile trovare scorci noti e sconosciuti, sorprese e conferme. Nella Prefazione, l’Autore racconta la genesi del libro, nato dall’entusiasmo di Orietta D’Armi che ha avuto l’idea di affidare ad un romanzo la promozione del Cammino d’Abruzzo, un percorso ad anello che si estende per circa settecento chilometri, toccando settantuno comuni dislocati nelle quattro province. Raccogliendo un’antica leggenda abruzzese sull’amore tra due giovani pastori al ritorno dalla transumanza, Luca Mastrocola, costruisce il suo racconto incentrandolo sulla figura di Caterina, una ragazza di quasi sedici anni, che nel 1945, sul finire della seconda Guerra Mondiale, si mette alla ricerca di Gabriele, un ragazzo poco più grande, di cui si è invaghita. Va sottolineato che l’Autore, con una scelta particolarmente felice, sceglie due protagonisti adolescenti, mettendo insieme le ansie e le inquietudini di chi si approssima alle scelte che segneranno il proprio futuro, con le incertezze e le trepidazioni proprie di ogni viaggio. Questa visione, e la relativa relazione tra le strutture portanti del romanzo, rappresentano quella che a me pare la vera cifra di questo lavoro. L’altra notazione, di carattere generale, riguarda il dialetto, inserito nel tessuto narrativo con una misura che ne esalta la forza espressiva e, al contempo, ne evita i rischi di un uso macchiettistico e caricaturale.
I sentieri tracciati dalla ricerca di Caterina si intrecciano con quelli segnati dalla storia e dalle storie, facendo emergere i tanti e diversi lasciti che hanno, nel corso dei secoli, concorso a definire un grande, e ancora poco conosciuto, patrimonio culturale. E questa è l’altra faccia della medaglia, l’altra cifra che definisce il profilo del romanzo.
Con pochi tratti Mastrocola delinea la famiglia di Caterina: il padre, lontano in guerra in Albania o forse in Grecia; la madre che porta avanti il lavoro della casa e della stalla, lei e il fratello Antonio, poco più grande, che hanno perciò dovuto affrontare il lungo viaggio fino al Tavoliere delle Puglie. Ed è proprio nel viaggio di ritorno dalla transumanza che Caterina incontrerà Gabriele che, con il suo gregge, ha percorso lo stesso itinerario lungo il quale ha raccolto notizie sul prossimo sbarco degli Alleati nel Sud Italia, sulle sconfitte dei tedeschi in Russia e sugli altri fronti. Anche la famiglia di Gabriele viene descritta in modo essenziale: orfano di padre da quando aveva quattro anni, una madre di cui non vuole parlare e una zia con cui abita e dalla quale spera di andar via presto.
Dopo qualche giorno si incontrano ancora e Gabriele, dopo gli sguardi scambiati nel corso del loro primo incontro, trova il coraggio di darle un leggero bacio sulla guancia. Un temporale, e una grotta troppo piccola per dare ricovero ad entrambe le greggi, separa di nuovo i due ragazzi che prendono strade diverse. Prima di andar via Gabriele lascia nella grotta cinque fogli di carta con dei disegni fatti a matita. In uno di questi, i profili di tre colline, punteggiati da alberi frondosi, abbracciano un arcobaleno che sembra trovare i suoi colori nella tonalità uniforme della grafite. Caterina pensa che quello sia il luogo del loro prossimo incontro, il posto dove Gabriele l’aspetterà. Tornati a casa Caterina riabbraccia il padre, ma non riesce a liberarsi da una irrequietezza, una sorta di febbre, che non sfugge agli occhi attenti di Antonio. Sarà proprio il fratello a convincerla a partire alla ricerca di Gabriele, offrendosi di parlare con i genitori e di spiegarne le ragioni. Caterina lascia così il suo paese e, su consiglio di Antonio, parte alla volta di Pescara dove si sono riversati molti abruzzesi delle zone interne. Forse, la stessa scelta potrebbe averla fatta anche Gabriele. L’accoglie una città, la prima città che vede nella sua vita, profondamente segnata dai bombardamenti del settembre del 1943 che hanno causato un numero enorme di vittime, tremila, forse seimila come le dice Cetteo, un signore anziano che, notando il suo smarrimento, le si avvicina e le fa da guida. Comincia così, con il disegno di Gabriele nello zaino, un viaggio che corre lungo due linee: da una parte quella dei paesi, delle case, delle chiese, dei palazzi, dei monumenti e delle opere d’arte; dall’altra, ma intimamente intrecciata con la prima, quella dei volti che esprimono una diversa cadenza della storia; sorrisi, rughe, dolori, disperazioni e speranze che disegnano una geografia sentimentale della condizione umana, che dona alle pagine una sorta di tono epico, affidato ad una partitura in cui non trovano spazio enfasi posticce e posture retoriche. Anzi, quello che il lettore trova è, sempre, l’autenticità dello sguardo, reso da una scrittura che ospita e restituisce la fatica dei passi e l’azzardo degli slanci di ogni viaggio umano. In questo incrocio di direzioni, e qui l’immagine dell’incrocio è una ulteriore suggestione, si situa l’Autore e questo luogo gli consente di affidare, non a caso, a una ragazzina rom, Anita, il secondo incontro di Caterina e l’inizio del vero e proprio viaggio. Il richiamo ancestrale al nomadismo dei pastori e dei rom, pur nelle tante e profonde differenze, trova qui un suggello letterario che offre, non pochi spunti di riflessione.
In un Abruzzo liberato, in cui le macerie e le sofferenze ostruiscono strade e cuori Caterina trova sempre ospitalità, aiuto, cibo, ascolto e comprensione. Luca Mastrocola recupera qui un carattere identitario delle genti d’Abruzzo e non solo d’Abruzzo. La grande e potente metafora del viaggio implica la presenza del viandante; presenza che non si può espungere senza reciderne anche la forza e la profondità. Per questo fa riflettere, dovrebbe far riflettere, il fatto che in un tempo in cui le risorse materiali erano scarse e difficili da reperire, vi era una grande ricchezza di solidarietà e l’altro era sempre accolto; in un tempo in cui l’abbondanza, almeno per i molti di una parte del mondo, declina frequentemente in spreco e dissipazione, c’è spesso chiusura di porte e di cuori. Allora, forse, il viaggio di Caterina, per la forza delle figure dell’ospite, del viaggiatore e del pellegrino, incise nella storia della faticosa costruzione delle civiltà e delle culture, pone al nostro tempo, qui ed ora, brucianti domande e riflessioni non eludibili. L’incontro con Zelinda, la strega, una donna che si porta addosso atavici pregiudizi, e racchiude nelle sue mani nodose i segni di una vita che le ha offerto solo dolori e amarezze, le permette di scoprire, in uno dei nomi di Isola del Gran Sasso, quello del paese dove il sole sorge due volte, all’alba e al tramonto quando i raggi si riflettono sulla montagna, la grande lezione di vita della seconda possibilità. Potremmo aggiungere che, sovente, se non sempre, le opportunità si colgono con gli altri, non da soli. E qui torna quel poderoso legame, anch’esso una grande lezione di vita, del mutuo scambio del lavoro, della collaborazione, della solidarietà, che emerge, proprio in quei giorni del 1945, dalle pagine del libro di Luca Mastrocola. Qui, è bene precisare che l’Autore non ci offre un affresco di soli colori brillanti, o una narrazione banalmente ottimistica. Al contrario, i tanti versanti della vita, con le tracce di luci ed ombre, sono resi in tutta la loro complessità e contraddittorietà; quello che emerge con chiarezza, il fil rouge del libro, è costituito proprio dalla restituzione di questa complessità. Anche Gabriele, nel frattempo, compie il suo viaggio alla ricerca del punto fermo attorno a cui costruire il suo futuro. Attraversa molti luoghi, ma le sue strade non incroceranno quelle di Caterina. Possiamo dire che questi due itinerari, permettono al lettore di vedere i diversi luoghi dell’Abruzzo, di coglierne gli elementi comuni e le differenze. Insieme, compongono il grande affresco storico, sociale e culturale che i passi, come tessere di un mosaico, compongono camminando. E, proprio camminando, Mastrocola semina, come le molliche di Pollicino, i nomi di piante, alberi, erbe; un sentiero, anzi un vero e proprio alfabeto vegetale, di cui, in gran parte, abbiamo smarrito la conoscenza e che, invece, è parte essenziale di una nuova e diversa riformulazione del rapporto tra umano e naturale.
Una notazione particolare meritano le pagine dedicate alle violenze, alle sopraffazioni, alle crudeltà spesso gratuite, dei nazifascisti che si ritirano spargendo, ancora più di prima, sangue innocente e odio. Caterina e Gabriele raccolgono i racconti dei sequestri, dei processi sommari, delle fucilazioni avvenute, in particolare, nei paesi attraversati dalla Linea Gustav, che andava da Ortona alla foce del Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, uno dei maggiori teatri di guerra tra il 1943/1944.
Luca Mastrocola, e questo è un altro dei valori di questo libro, e non fra i minori, disegna nelle sue pagine l’orrenda architettura dei palazzi sventrati, sbriciolati, distrutti; ricostruisce la storia e la geografia delle stragi, delle tante stragi compiute dai nazifascisti e su cui è caduta la coltre oscena della rimozione; racconta e restituisce il coraggio e la dignità dei giovani abruzzesi che non scelsero di “tirare a campare”, di tenere ostinatamente il viso girato dall’altra parte rispetto a quello che accadeva tutt’intorno; il coraggio dei partigiani, da quelli della battaglia di Bosco Martese, la prima battaglia campale tra formazioni partigiane e esercito nazista, a quelli della Brigata Maiella, i patrioti, e sottolineo la parola patrioti, che dall’Abruzzo continuarono il loro cammino di liberazione fino ad Asiago. Naturalmente, non è possibile dar conto, se non in modo fin troppo sintetico, del grande lavoro compiuto da Luca Mastrocola; una ricostruzione meticolosa, resa con tono leggero, della storia, dell’antropologia, dei Santi Patroni, dei miracoli, della devozione popolare, dei beni artistici e di quella sapienza antica di rispetto della terra, che oggi chiameremmo economia circolare. Caterina e Gabriele si rincontreranno nella stazione di Pescara, città dove il grande viaggio è cominciato e dove si conclude, magistralmente, anche il romanzo. Luca Mastrocola, superando la dimensione oleografica, che ne ha deformato conoscenza e percezione, regala quel racconto dell’Abruzzo che l’Abruzzo aspettava. Un racconto corale, una sorta di romanzo popolare in cui le parole di Italo Calvino, autore una cui citazione è la prima fra quelle poste in epigrafe, trovano una nuova verità: ‹‹La lettura e l’esperienza di vita non sono due universi, ma uno. Ogni esperienza di vita, per essere interpretata, chiama certe letture e si fonde con esse››.
Lascia un commento