LILIANA

documentario di Ruggero Gabbai, 2024

È un documentario sulla senatrice Liliana Segre, testimone della shoah. Stasera, 20 gennaio 2025, viene proiettato contemporaneamente in 205 sale cinematografiche e ripercorre la vita di questa signora che parla una lingua accorta, raffinata e potente e porta alla nostra attenzione l’evento più tragico che ha segnato il ventesimo secolo, la volontà nazista di distruzione totale degli ebrei d’Europa.

Le fasi della sua vita, dalla nascita ad oggi: l’infanzia di bambina orfana di madre, amatissima dal padre e dai nonni, l’esclusione dalla scuola per effetto delle leggi razziste del 1938, il tentativo fallito di salvezza in Svizzera, la reclusione in carcere prima della deportazione ad Auschwitz.

Il cuore del documentario è proprio la stazione di Milano, quel binario 21 che dai sotterranei, con un ardito congegno di sollevazione, dopo aver caricato nei vagoni, originariamente destinati al trasporto postale, quanti più ebrei possibile, saliva al piano dei binari per cominciare il viaggio verso il campo di concentramento e morte. Lì è stato costruito il memoriale della Shoah e, nel cupo tragitto che documenta quel pezzo di storia, ci si imbatte nella parola ‘indifferenza’, voluta proprio da Liliana per indicare quello che, a suo parere, è stato, e rischia di essere ancora, il peggior male.

Oggi questa signora, che si muove con la scorta e sorride del paradosso di essere la più anziana signora europea a usufruirne (“se vogliono uccidermi, che lo facciano, ho vissuto 94 anni!”), racconta del lungo silenzio in cui si è chiusa dopo il ritorno dall’inferno, quattordicenne. Solo alla soglia dei sessant’anni ha deciso di testimoniare e lo ha fatto incessantemente fino ad oggi, rivolgendosi soprattutto ai giovani.

Nel 2018 il presidente Mattarella l’ha insignita della carica di senatrice a vita e, anche in questo ruolo, ha saputo dare un forte contributo alla riflessione, istituendo la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza.

Esiste poi nel documentario una lodevole attenzione all’esperienza vissuta dai figli di coloro che sono sopravvissuti alla Shoah; qui in particolare vengono intervistati i tre figli di Liliana Segre che pongono l’accento sulla difficile storia di chi, bambino o bambina, si trova a leggere il numero 75190 tatuato sul braccio della madre e non sa cosa sia. Se chiede, le risposte sono elusive, brevi, insoddisfacenti. La verità viene poco a poco, nel tempo, attraverso i tentativi della madre di rielaborare, di raccontare, per uscire lei stessa dal silenzio che la opprime.

Hannah Arendt dice “Il bisogno della ragione non è ispirato dalla ricerca di verità, ma dalla ricerca di significato. E verità e significato non sono la stessa cosa”.

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