Anche una gita può non essere un “estetismo da amici dei monumenti”, ma un concreto atto di resistenza culturale e politica: il rifiuto di servire al potere del fascismo per quei tempi che precedono la seconda guerra mondiale, e, oggi anche, “la ricerca di una dimensione embrionalmente pubblica, comunque sociale e collettiva: non uno svago, non un divertimento, ma un impegno, un cimento. Come se la vicinanza al massimo bene comune dell’Italia – il suo meraviglioso corpo – potesse indurre pensieri e parole utili a ricostruire il massimo bene politico e morale: la libertà”. Così si esprime Tomaso Montanari nell’introdurre il volume che racconta, attraverso le fotografie dello stesso Calamandrei, le escursioni di un gruppo di amici in giro per l’Italia tra il 1935 e il 1940. E gli amici sono Luigi Russo e Attilio Momigliano, Guido Calogero e Paolo Treves, Leone Ginzburg e Nello Rosselli, Adolfo Omodeo, Sandrino Levi, Alberto Carrocci, Benedetto Croce, Pietro Pancrazi e altri.
Sceglievano città piccole e luoghi fuori mano, dove ci fosse qualche resto archeologico, qualche villa, qualche pittura da scoprire, o il passaggio di artisti o intellettuali. Era la ricerca di una tradizione di civiltà che il fascismo stava oscurando con la roboante prevaricazione delle adunate nelle città; in cima al promontorio che fronteggia l’Argentario gli amici passeggiano tra le rovine di una città romana e Calamandrei annota: “Qui non si riesce più a capire dove finisca la roccia inanimata e dove cominci il segno lasciato dai viventi; uno stesso senso di pietà, come se si trattasse di parentela, abbraccia le cose e le creature”.
Le foto sono accompagnate da frammenti di diario, di lettere. E si avverte in quelle righe il presagio della guerra e della dissoluzione: “La guerra viene, la guerra verrà, ammoniva Carlo Rosselli da lontano. C’era già su quelle colline ridenti un presagio di distruzione”.
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