Un percorso di tutto rispetto quello di Federica Maria D’Amato, dentro cui si intrecciano vari registri di scrittura, dalla prosa saggistica al saggio epistolare al romanzo aforistico, alla traduzione. La sua poesia esiste con tensione di approfondimento non cedendo a retoriche sbavature. L’apertura di Mario Benedetti inizia l’opera, nelle sequenze scandite da citazioni significative dentro cui l’autrice chiama: Helle Busacca, Milo De Angelis, Renzo Paris, Eugenio Montale, Bach, Agota Kristof. Come a sdraiare una mappa poetica di orientamento.
A distanza di venti anni dalla precedente raccolta, D’Amato raggiunge la qualità di concentrarsi liricamente sulla relazione tra l’io profondo e la sponda degli altri, nella differenza esistenziale tra il noi e il voi. Attraversa il tempo con improvvise ellissi, perforando i silenzi, dal sussurro delle voci che nel proprio labirinto auricolare tornano rimbalzando ai gridi delle domande cruciali, sempre sacralmente infantili.
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