Nasce nel primo mese del 2023 questo poema che pianta la folgore in gola al canto. Con potenza lirica sempre in tensione ustionante, con un ritmo acrobatico che rinnova energia lessicale e visionaria, ma affonda nel precipizio del reale per eruttare gli inferi sulfurei dell’io. Gli inferi, gli intestini, le interiora, le intimità sensoriali. A colpi di martello, a morsi, si sfasciano i limiti, i confini, le retoriche, i canoni. Iannone crea un concerto percussivo salutando filialmente Cecco e Rocco Scotellaro da cui cita in apertura: datemi il pane della questua.
Il poema canta il plurale corporeo dell’io in una fisarmonica centrifuga e centripeta che scolpisce l’aria, le orecchie e il petto di chi incontra.
Il popolo delle figure ignee, vere, povere che tocca nella nominazione spacca il quadrato della società , squarcia la perfezione del cerchio. Colgo un respiro di questo poema perché brilla:
…
Ma io ancora credo che è bello
vivere e lacerare la tela
con un morso, è bello
prosperare in cima, ruotare
nello stomaco del mondobue è bello
essere rantolo, ossicino, membrana, sacca.
Io li salvo e li amo tutti
i corpi prodighi, i petti
mosci e i prepuzi avvizziti
dei vecchi che non smettono di avere smanie e angosce.
Vieni con tuo amore di fata
a fare la lagna di prefica
vieni col tuo boscoso silenzio
a deporre coriandoli sul mio pube
affaticato. …
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