Credo che con questo libro la cosiddetta letteratura di migrazione compia un passo avanti, da tempo necessario.
Fin qui abbiamo vissuto la sorpresa per la novità rappresentata da scrittrici e scrittori che si cimentano nella lingua Italiana e la arricchiscono di ibridazioni, alterazioni, modi nuovi di dire.
Molti scrittori e molte scrittrici che per la prima volta si sono fatti conoscere, grazie a iniziative come quella dell’associazione Ex&Tra che ha cominciato a pubblicarli nella seconda metà degli anni novanta, oggi sono noti al grande pubblico e, in qualche caso, hanno all’attivo una considerevole quantità di libri. Penso a Igiaba Scego e a Elvira Mujčić, scrittrici ormai affermate nel panorama italiano.
Andreea Simionel però ha effettuato subito quel passaggio che libera dalla fascinazione di una lingua acquisita per migrazione e si esprime con la veemenza di chi la lingua e il formulario di cui è fatta se li crea.
La “doppia assenza” su cui Abdelmalek Sayad ha scritto pagine preziose, soprattutto per fare capire cosa significhi sradicamento e interazione, o quel “lost in translation” così efficacemente espresso da Eva Hoffman nella narrazione della sua esperienza migrante, sono qui pelle viva.
Il suo italiano è diverso da quello degli altri. Parla a voce bassa e frenetica, come una formica. Le parole sono aghi appuntiti che lancia in giro. Quando ha finito, bisogna raccogliere quello che ha sparso. Fa così per nascondersi. L’italiano non è suo, lo ha appreso a rate. L’ha rubato, un po’ qui un po’ lì. (Pag. 190)
Noi ci dobbiamo amalgamare, come le strisce di colore sulla carta. Noi dobbiamo stare nei contorni. Noi dobbiamo avere pronunce impeccabili. Noi dobbiamo smettere di esistere in una lingua, rinascere nell’altra. Noi ci dobbiamo integrare, diventare irriconoscibili. (Pag. 193)
E la lingua diventa simbolo-metafora-esperienza di tutte le trasformazioni a cui si sottopone chi si sposta ad esempio dal paese ‘pesce’, la Romania, al paese ‘stivale’. E ‘schifo e desiderio’, ‘nausea e fame’ valgono l’uno per l’altro. Lì, nel luogo di mezzo, nel luogo che non c’è, si genera l’autonoma fisionomia di una giovane immigrata.
Andreea Simionel ha 26 anni e scrive, lasciando sulla pagina la storia spiazzante, dolorosa e scanzonata, di chi regge la fatica di attraversare mondi.
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