Rimettere il proprio corpo nel corpo di opere fondamentali firmate a sangue da maestre e maestri, riattiva le cellule della nostra esistenza, ci consegna una responsabilità di riflessione e confronto.
Riapro i documenti del processo nei confronti di Don Milani. Ci sono molti fulcri di pensiero allarmanti e allarmati, ancora attualissimi.
Il 12 febbraio 1965, il quotidiano La Nazione pubblicò la notizia che il giorno precedente, proprio nell’anniversario della conciliazione tra Chiesa e Stato Italiano, si erano riuniti presso l’Istituto della Sacra Famiglia, in via Lorenzo il Magnifico a Firenze, gli ex cappellani militari della Toscana. L’assemblea aveva concluso con la nota “…Considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta ‘obiezione di coscienza’ che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”. I cappellani conclusero il loro incontro con una preghiera di suffragio ai caduti.
In sintesi, Don Milani rispose a quegli stessi cappellani che avevano sottoscritto il comunicato, ricevendo poi da loro una denuncia. Malgrado le sue gravi condizioni di salute, il sacerdote chiese al difensore di ufficio di non “prendere parola”, rispondendo direttamente con una lettera quanto mai appassionata e lucidamente dettagliata, complessa e motivata, firmata il 18 ottobre dello stesso anno, dentro cui ripercorre i fatti e illumina il suo pensiero.
Ritengo di assoluta attualità ogni passo della sua scrittura.
Dopo la lettura della lettera degli ex cappellani, appresa da un ritaglio del giornale, Don Lorenzo, con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana, approfondiscono la notizia, completamente rovesciandone la sua autorevolezza. Solo 20, di fatto, erano i cappellani presenti alla riunione, su un totale di 120. Scrive Don Milani:
Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne conosco uno, don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che non era stato invitato e che è sdegnato dalla sostanza e dalla forma del comunicato.
Approfondire ciò che ci viene comunicato, e che si autolegittima soltanto attraverso la sua pubblicazione, significa esercitare una costante attenzione e autocritica, evitando una passività ricettiva anestetizzata che conduce inevitabilmente all’indifferenza, all’automatismo comportamentale. Questo ci riguarda anche oggi. Soprattutto oggi, in cui la comunicazione è manipolata, assordante, invasiva.
Qui, allora come oggi, dovrebbe agire per ciascuno di noi il motto assunto da Don Milani I care: ognuno deve sentirsi responsabile di tutto, … me ne importa… mi sta a cuore, non delegando. A prescindere dalla reazione degli altri, dal loro eventuale silenzio.
La voce di Don Milano ha in sé il fiato congiunto di sacerdote e di maestro, dentro cui la sua voce diventa sostanza incandescente che squarcia non solo l’accusa, ma l’intero sistema culturale da cui è generata.
Il successivo occhiello tematico della lettera è dedicato al significato di scuola:
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro un senso di legalità …, dall’altro la volontà di leggi migliori e cioè il senso politico… e allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.
Indicando a fuoco i cardini imprescindibili di riferimento come il “Critone”, l’”Apologia” di Socrate, i quattro Vangeli e le lettere del pilota di Hiroshima, Don Milani individua i tre principi di diritto:
- L’Italia ripudia la guerra;
- Anche il soldato ha una coscienza;
- La responsabilità in solido.
Ognuno di questi fulcri viene motivato nelle fondamenta della Costituzione Italiana e, naturalmente, nei passi del Vangelo, con rigore inconfutabile. Vale la pena riportare degli assi fosforescenti:
I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante.
…
In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere sono concetti superati.
…
Ci presentavano l’Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l’Impero. I nostri maestri s’erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi, Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.
…
Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimità una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei, la tortura, una guerra coloniale?
…
Il nostro Arcivescovo card. Florit ha scritto che è praticamente impossibile all’individuo singolo di valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve (lettera al Clero 14.4.1965). Certo non voleva riferirsi all’ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 23.3.1936). E neppure all’uso dei gas.
Don Lorenzo Milani raggiunge il vertice della sua parola pensante scoperchiando le dinamiche del dominio vocato all’autodistruzione:
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile del tutto.
La lettera di Don Milani si conclude mirabilmente con queste parole:
Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l’umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo l’anima.
Don Lorenzo Milani fu assolto. Forse, per non creare come lui stesso aveva scritto, un martire risonante. Molto mi ricorda Louise Michel nel suo rispondere in prima persona al plotone di esecuzione. Nella stessa chiarezza assertiva vissuta biologicamente.
Quanto mai vivo e urgente, dunque, questo dettato etico. Che venga assunto come orizzonte dalla Commissione Europea, pronunciato dalla sua presidenza, Ursula Von der Leyen, mi chiede fiducia. Tuttavia, non si può non essere esigenti nel pretendere una concreta testimonianza di fatti che mostrino radicale cambiamento di dinamiche socio culturali e economiche. Perché don Lorenzo Milani viveva a Barbiana conquistando figlioli e figliole poverissimi e poverissime, con un’attività totalizzante e inclusiva di formazione spirituale e intellettuale, basata sulla complementarità solidale, sulla dignità di tutti, sulla preziosità del plurale partendo dal lavoro di ogni singola persona come investimento per il futuro.
La parola è tutt’uno con l’opera. Sempre.
Invito a leggere integralmente il libro
L’obbedienza non è più una virtù, documenti del processo di don Milani, Libreria Editrice Fiorentina. 1965. Non solo ad acquistarne una copia, di più. Andrebbe regalato come dono di nutrimento
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