Durante le recenti festività due film “veneziani” hanno raggiunto le sale. Si tratta del ripescaggio dal festival del 2023 di una storia d’amore di Stephan Brizé e della nuovissima opera su Maria Callas.

Il mare d’inverno, è un concetto che il pensiero non considera… cantava Enrico Ruggeri. Quando l’anno scorso alla 80esima Mostra del Cinema di Venezia ho visto Hors Saison (Fuori stagione) del regista francese Stéphane Brizé, la canzone di Ruggeri m’è tornata in mente quasi senza volere, per quell’alito di malinconia che si respira anche nel film. Innanzitutto la sorpresa di trovarmi sullo schermo una storia “solo” d’amore proposta da un autore noto per la sua poetica dove i temi politici e sociali sono predominanti. Basta pensare alla sua trilogia sul lavoro interpretata da Vincent Lindon La legge del mercato (2015), In guerra (2018) e Un altro mondo (2021). Il suo Fuori stagione invece racconta un incontro, dopo una quindicina d’anni, tra Mathieu, famoso attore cinquantenne che vive a Parigi e Alice, quarantenne insegnante di musica, in una piccola località di mare. La loro storia si era conclusa senza particolari ripercussioni e il tempo aveva rimarginato lentamente le inevitabili ferite. Capita che lui abbandoni la capitale per prendersi una pausa e si rifugi in un elegante lussuoso albergo sul mare della Bretagna. L’incontro casuale tra i due è quindi occasione di riscoperta, di nuove emozioni, di inaspettato confronto. Il regista racconta di essersi imbattuto in questa storia nel periodo del Covid che l’aveva costretto come tutti ad una pausa. Quindi, lontano dalle sue creazioni sui conflitti della globalizzazione e della contemporaneità, una storia d’amore aveva riempito la sua fantasia e le pagine di una sceneggiatura scritta insieme a Marie Drucker. Ad interpretarla ha chiamato Guillaume Canet che coi suoi modi gentili e l’espressione vagamente triste ha dato vita a un personaggio a tratti anche commovente, reduce da scelte sbagliate e inseguito dalla disillusione. Alba Rohrwacher dona al personaggio di Alice una dolcezza quasi contagiosa, e regala un’allegria strana in quel paesaggio dai colori tenui e dalla luce incerta. Paesaggio che induce alla riflessione, alla meditazione: quella Bretagna scelta non casualmente perché è anche la terra di origine del regista, quindi un luogo profondamente conosciuto e vissuto. A completare il quadro del fuori stagione, la stabilità impeccabile della macchina da presa che fissa inquadrature a misura di sentimento: primi piani, dettagli, campi lunghi che immergono i personaggi nello spazio delle loro forse perdute solitudini. Complice preziosa, la colonna sonora, discreta quanto basta a non distrarre troppo del lento svolgersi di una trama apparentemente semplice, invece perfettamente logica, quasi indossata dai due personaggi che vivono o rivivono quelle che il titolo italiano chiama Le occasioni dell’amore. Trovare questo film sugli schermi di giorni spesso invasi da cinepanettoni o fantasy più o meno violenti potrebbe essere stata una felice occasione se non dell’amore, almeno di romantica e piacevole serenità.

Così come è davvero emozionante assistere a Maria dell’affermato regista Pablo Larrain che sempre a Venezia nel 2023 era stato premiato per la miglior sceneggiatura di El Conde. Dopo Jackie (2016), Spencer (2021), l’autore cileno conclude una trilogia di ritratti di famosi personaggi femminili del XX secolo (tutti presentati a Venezia), ripercorrendo gli ultimi giorni parigini di Maria Callas. Primo film in concorso alla recente 81esima Mostra, il film è stato ignorato dalla Giuria, ma non per questo si tratta di un’opera minore. Anzi, l’impianto scenico è sontuoso, le ricostruzioni attendibilissime e la struttura che spazia dal presente ai numerosi flash-back, dal colore al bianco e nero, perfettamente aderente all’idea portante della messa in scena. Poi naturalmente la musica la fa da padrona ed è particolarmente piacevole abbandonarsi ai movimenti e alle armonie delle arie più belle che la lirica ci ha regalato in quel fecondo fine Ottocento. Angelina Jolie affronta forse uno dei suoi ruoli più complessi: un personaggio difficile, controverso che deve averla impegnata non poco. Ha studiato canto per sette mesi e si è esercitata in casa, provato e riprovato anche alla Scala. Affida il suo corpo senza mimetismi esteriori al personaggio tanto iconico contando su posture statuarie e timide allo stesso tempo e puntando meritevolmente anche sulla propria voce. Traspare la fatica, ma anche la gioia del risultato ottenuto. La sua voce e quella della Callas sono mescolate, sovrapposte con sofisticato mestiere ed efficaci tecnologie, riservando meticolosa attenzione al sincronismo labiale. E il risultato è stupefacente, sia sul piano interpretativo che vocale.

Maria nel suo lussuoso appartamento parigino, dove il pianoforte resta tristemente inutilizzato, in compagnia dei suoi educati cagnolini, assistita dal fedele maggiordomo (Pierfrancesco Favino) e dalla domestica (Alba Rohrwacher), che giocano a carte con lei, si racconta in una intervista che conduce lo spettatore attraverso un ampio arco della sua vita: dall’infanzia tragica in Grecia dove la madre durante la guerra la vendeva ai soldati tedeschi occupanti, al ritorno negli Stati Uniti dove era nata, ai successi nei teatri di tutto il mondo. Si incontrano la sorella (Valeria Golino) il presidente Kennedy e l’amato Onassis (Kodi Smit-McPhee). Mancano invece i suoi importanti e sofferti incontri “culturali” così decisivi per renderla quell’icona popolare che la definirà “divina”: primo fra tutti quello con Pasolini. E anche la mondanità, il glamour restano sotto tono. Ciò che rimane è l’immagine di un personaggio fragile, delicato e altezzoso allo stesso tempo, raffinato e sempre alla ricerca della perfezione, quella che anche Angelina Jolie ha dovuto raggiungere per offrire al pubblico un’immagine viva e fedele della cantante lirica più celebrata e famosa del Novecento. Ci resta anche il bel canto che ci insegue anche dopo i titoli di coda.

Imminente invece l’uscita di tre film dei quali ho già scritto su questo blog nell’Autunno scorso. A fine Gennaio potremo inseguire Daniel Craig diretto da Luca Guadagnino nella trasposizione cinematografica del romanzo di William Burroughs Queer. Il film si distingue per il rigore interpretativo e la lontananza dagli stereotipi sulla figura di personaggi omosessuali. Qui tutto è dato per acquisito, la natura delle persone è accettata, vissuta senza esibizionismi clowneschi. L’esteriorità è assente, la ricerca è soprattutto interiore: il nostro protagonista in vacanza messicana dalle sue creazioni letterarie vuole scoprire il segreto (se c’è) della corrispondenza di amorosi sensi. Ricerca che lo spinge al viaggio, verso un ignoto imprevedibile capace di fornire risposte. L’attore, smessi i panni dell’agente segreto per eccellenza, si abbandona al suo personaggio di scrittore un po’ frustrato ma vigile e desideroso di avventura.

E chissà se l’uscita di The brutalist in coincidenza temporale con la Giornata della memoria è voluta o casuale. Il film infatti ha per protagonista un architetto ebreo della Bauhaus scampato alla Shoah, che nel 1947 emigra e cerca fortuna negli Stati Uniti. Accolto senza particolare entusiasmo da un cugino si cimenta in piccoli lavoretti per sopravvivere, ma viene comunque notato da un ricco industriale ambizioso alla Citizen Kane che gli affida un grosso progetto architettonico. Pur essendo opera naturalmente e giustamente romanzata i rimandi alla storia vera di un personaggio e dello stile brutalista della seconda metà del Novecento, rende il film molto interessante. Duecentoquindici minuti senza un attimo di tregua come sintesi di un lavoro preparatorio durato anni.

Ma il titolo da non perdere è senz’altro Io sono ancora qui di Walter Salles che ricostruisce la tragica storia dell’ex deputato brasiliano Marcelo Rubens Paiva, sequestrato e scomparso come tanti durante la dittatura militare del 1971. Una messa in scena puntuale e precisa che ha per protagonista la moglie del desaparecido, madre di cinque figli. Una donna che non si è mai arresa. Instancabile oppositrice del regime e tenace nel tentativo, purtroppo vano, di riportare l’uomo alla salvezza, interpretata con intensa suggestione da Fernanda Torres.