Quest’opera antologica ripropone oltre i significati, la qualità, la poetica dell’autore, lo sforzo gigantesco di un artista nel vivere le proprie radici culturali, territoriali e, al tempo stesso, nell’abitare un paese straniero sforzandosi di integrarsi. Sotto questo aspetto, una delle testimonianze più importanti e recenti della nostra poesia contemporanea è stata Luigi di Ruscio: il suo dolore feroce, esasperato, ha tessuto un canto dilaniato.
Giuseppe Mascotti nacque nel 1927 a Coredo, in provincia di Trento. Alla fine del 1948, disoccupato e povero emigrò in Argentina dove rimase per 45 anni. Visse la sua poesia come vero e proprio senso di identità, dentro cui le due lingue si innestavano in reciprocità. La sua poetica viene narrata dalla nota scrittrice italo-argentina Syria Poletti. Estraggo le sue parole da una prefazione all’opera di Mascotti: “Credo che quel tono quasi biblico che sostanzia il linguaggio – non stilisticamente, ma come espressione di un’anima ferita, avvinta e bruciata nel terribile cerchio di spazi e firmamenti fisici e metafisici che la cingono d’Infinito – quel tono, dico, costruisce forse, la ragione per cui la poesia è sentita come una lotta eroica, sottile, che l’anima ferita sostiene per mantenersi nel vuoto pauroso di una solitudine cosmica irriducibile.”
Di fatto, in poeti emigrati, profondamenti radicati nel proprio paese, permane tragicamente un senso di estraneità, quel vuoto dell’esilio che li spinge al canto.
Mascotti rientrò in Trentino, stabilendosi a Rovereto, collaborando con la Biblioteca e scrivendo, fino alla sua morte avvenuta nel 2006.
Vincenzo Guarracino, tra gli altri, si è occupato della sua poesia.
Si fa giorno: un lontano sole
tenera chiarità di arancio, di celeste,
spande sopra la piana delle acque
il firmamento sereno.
Un nuovo giorno risplende
Sui calmi abissi del fiume Paranà.
Quel fiume per Mascotti sarà sempre il suo corso liquido simbolico: l’acqua tremenda e vitale.
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