
Anche quest’anno, come da settantacinque a questa parte, l’Italia si ferma per il Festival di Sanremo. Una settimana in cui l’aria si riempie di musica, polemiche e spettacolo, come se bastasse una canzone a farci dimenticare tutto il resto. E forse, in parte, è proprio così.
Ma c’è una canzone, una di quelle che il tempo ha sepolto sotto montagne di melodie più rassicuranti, che oggi suona più attuale che mai. Era il 1977 quando sul palco dell’Ariston apparve una ragazza bionda, alta, vestita con una camicetta bianca, stivali da cowboy e pantaloni da corsa. Si chiamava Donatella Rettore e portò una canzone dal titolo apparentemente innocuo: Carmela. (Al link, potrete guardare la divertente esibizione).
Carmela distribuiva caramelle colorate. Piccole, allegre, invitanti. Ma erano avvelenate. Una metafora perfetta per la guerra, che si presenta sempre con lo stesso pacchetto accattivante: difendere la patria, ristabilire l’ordine, esportare la democrazia. Dolcetti di zucchero e cianuro, offerti con un sorriso e serviti sul piatto della retorica.
La guerra è un trucco sporco, un’illusione venduta al prezzo del sangue altrui. Ti dicono che sparano a salve, solo per far sloggiare. E invece cadono, cadono sempre. Ma non quelli che danno gli ordini. No, loro restano in piedi, al sicuro dietro scrivanie, bunker e dichiarazioni ufficiali. Cadono i ragazzi che volevano solo proteggere i loro vecchi. Cadono le case, i sogni, i bambini nei cortili. Cade l’umanità , ma i governi no, quelli restano in piedi. Sempre.
E poi ci sono loro, i soldati, con i fucili in mano e il dovere nel cuore. Proteggono la pace sparando, con la stessa logica per cui si spegne un incendio versando benzina. Così, ancora oggi, l’Est Europa si trasforma in un cimitero a cielo aperto. Così Gaza diventa un ammasso di macerie e urla spezzate. Così ogni città , ogni guerra, ogni massacro diventa solo un nuovo nome sulla lunga lista dell’orrore. Cambiano gli slogan, le bandiere, le giustificazioni. Ma i morti restano sempre gli stessi.
Eppure, tra chi muore e chi ordina di uccidere, ci sono loro. Quelli che resistono, che si stringono nel buio, che si amano sottovoce per paura di essere visti. Loro la guerra non la vogliono, eppure la subiscono. Sono quelli che muoiono per la pace dei civili, mentre i generali firmano trattati con mani immacolate, mani che non hanno mai imbracciato un fucile, mani che non si sporcano mai.
Carmela chiude gli occhi ai caduti, ma Carmela è anche la loro bandiera. Perché la guerra non ha bisogno di eroi, ma ne produce a migliaia. E il problema è sempre lo stesso: il mondo è governato dai furbi, mentre gli eroi finiscono nelle fosse comuni. A quarant’anni o sei furbo o sei un eroe. Chi è furbo scappa, chi è eroe resta e muore.
Ma dicono che qualcuno, una volta, sia risorto dopo aver assaggiato le caramelle avvelenate. E allora viene il sospetto che forse, da qualche parte, la guerra non vincerĂ per sempre. Che in
una stretta di mano, in un canto sommesso, in un bacio rubato nel buio, esista ancora una speranza.
Nel frattempo, però, continuiamo a farci avvelenare. E continuiamo a morire. Sempre con un nome nuovo. Sempre con la stessa, assurda scusa.
Ma, in fondo, che ne sapeva Donatella Rettore? Lei voleva solo cantare una canzone. E invece, senza saperlo, ha scritto un manifesto. Un piccolo inno alla disillusione, travestito da ritornello leggero.
Forse è per questo che Carmela è finita nel dimenticatoio: troppo scomoda, troppo vera. Meglio dimenticare, meglio cantare d’amore, di cuori infranti e di notti stellate. Meglio credere che la guerra sia un problema lontano, che non riguardi noi.
Eppure, mentre gli strateghi del mondo continuano a scartare le loro caramelle avvelenate, un pensiero sorge spontaneo: magari la Rettore aveva capito tutto prima di tutti. Magari, tra un Lamette e un Kobra, aveva già visto la trappola. E come una vera rockstar, ce l’aveva urlato in faccia.
Troppo avanti per il suo tempo. O forse siamo noi che siamo sempre, irrimediabilmente, troppo indietro.
Lascia un commento