TrinitĂ  di Rublev

In tempi forse migliori ho potuto visitare la Galleria Tret’jakov di Mosca. La seconda volta in cui sono entrata nelle sue sale a guidare lo sguardo c’era Martina che studia e scrive icone.

In quella prestigiosa sede si raccolgono le opere che rappresentano l’arte russa dall’XI al XXI secolo. Una ricca sezione è dedicata alle icone ed è lì che si possono vedere la Trinità di Andrej Rublev, la Madonna di Vladimir nella annessa chiesa di san Nicola in Tolmachi, la Trasfigurazione di Teofane il Greco e moltissime altre, ‘scritte’ da illustri maestri. L’icona si ‘scrive’, come la parola scritta, e insegna la verità cristiana, è una teologia per immagini che attinge alla sacra Scrittura, ma anche ai testi apocrifi, a quelli liturgici e agiografici e ai sermoni dei Padri. Nel culto ortodosso si trova perciò una straordinaria varietà di temi e di forme. Ogni icona non si limita a dipingere una scena o un personaggio, ma implica sempre uno sfondo teologico. Con i mezzi che le sono propri, le forme e i colori, l’immagine rappresenta ciò che la teologia insegna con la parola. La teologia approfondisce la verità con ragionamenti, l’immagine ne offre una visione. E prima di essere il frutto di una intuizione o la traduzione di un’impressione o di un’astrazione, viene da una tradizione e prima ancora di essere scritta/dipinta è lungamente meditata, pazientemente elaborata da generazioni di autori e autrici; si tratta infatti di una forma d’arte teologica che, proprio per questa sua peculiarità, non può trascurare alcun dettaglio, a partire dai tratti della tecnica esecutiva.

Madonna di Vladimir

Prima di tutto vi è la scelta del legno, che varia a seconda dei luoghi: cipresso e quercia nei paesi del Mediterraneo, tiglio in Russia e nei Balcani, frassino e faggio al nord… con un’attenzione al punto del taglio del tronco perché la tavola risulti il più possibile solida e non rischi la deformazione. Poi con polvere fine di alabastro, o con diversi strati di gesso per doratura, si prepara il fondo, il levkas (bianco) che deve essere solido e liscio alla superficie. Su di esso si crea il disegno, importantissimo perché dà la struttura all’opera. Le ricerche sulle icone dei grandi maestri hanno mostrato come avessero una attenzione assoluta alle geometrie e alle proporzioni. La doratura è il passaggio successivo: aureole, strisce, fondi vengono coperti con uno strato di bolo (liquido di ocra) che, una volta asciutto, è pronto per accogliere i fogli d’oro. La stesura dei colori caratterizza le scelte degli iconografi; possono essere colori organici o minerali e tutti si uniscono ai pigmenti per ottenere le sfumature desiderate che vengono infine fissate con tuorlo d’uovo diluito. Capelli, carnagione, abiti, iscrizioni prevedono tecniche specifiche.

“Diversamente dal quadro, dal quadro classico rinascimentale, l’icona non distrae, non consola con la bellezza, ma accoglie il mondo attraverso la materia. Davanti a lei valgono le parole di Mikail Lérmontov che non prega per sé, ma affida all’icona il ‘gelido mondo’. Chi guarda un’icona, chi la guarda davvero, può non avere fede nel senso cristiano del termine, ma può provare fiducia, può senza chiedere, affidare con un movimento che è innanzi tutto fisico. Può vedere il ‘gelido mondo’ raccogliersi per un attimo e là per un attimo placarsi.” Così si esprime Antonella Anedda in un saggio, L’icona e lo sguardo, pubblicato, insieme ad altri, per rendere onore a Pavel Florenskij, l’arciprete vissuto in Russia, filosofo, teologo, matematico, genio dalle molteplici sfaccettature, pastore a Sergiev Posad, morto nel gulag delle isole Solovki, nel 1937.

È proprio Florenskij a tracciare quella metafisica dell’immagine e della luce che stacca lo studio dell’icona dagli strumenti soliti della critica d’arte. La profonda analisi che entra nella sostanza propria di Le porte regali. Saggio sull’icona conclude: “Dove non ci sono reliquie d’un santo e dove non c’è la possibilità di conservarle, il suo corpo è risorgente e trasfigurato nell’eternità, e l’icona mostrandocelo tuttora, non rappresenta il santo testimone ma è testimone. Non è essa come monumento dell’arte cristiana che occorre studiare, ma ciò che lo stesso santo con essa ci insegna”.

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