Il libro Una bussola per bandiera, uscito a cavallo tra il 2020 e il 2021, viene, in questa seconda edizione, riproposto con una nuova sezione, Poesie dopo Gaza, che apre il volume, e con alcune modifiche rispetto alla precedente versione. L’Autore, Simone Sibilio, docente di lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia e apprezzato traduttore di molti poeti arabi contemporanei pone, con i primi versi di questo suo libro d’esordio, Sarà altrettanto barbarico scrivere poesie dopo Gaza? di nuovo, in tempi e contesti profondamenti diversi, l’interrogativo di Theodor Wiesengrund Adorno circa la dicibilità della parola poetica dopo l’orrore. Domanda, questa, a cui la poesia è sempre sottoposta ogni volta che esplora i versanti del dolore, della violenza, della guerra, dell’abominio, della negazione di principi e valori tanto faticosamente proclamati e tanto facilmente elusi. La risposta è ancora una volta sì, per l’amore verso la vita come se il domani a noi non venisse, nonostante il rischio che la poesia abiti pagine senza gambe/parole senza ritorno. Nella polvere acuminata che inghiotte nei suoi gorghi corpi e ricordi, preghiere e strazi infiniti, resiste la necessità di non smarrire per sempre la memoria e quella foto appesa all’ombra di una piaga e risuona, ancora, la domanda A che serve la scrittura tra le fauci dell’oblio perché Ė anche questa Gaza. Specchio del discrimine/Nodo scorsoio per animali umani dove Tra un foglio ritrovato e uno bruciato/c’è la misura del mondo/ e il rimpianto/ di braccia troppo corte per arginare i venti/per chiudere i battenti di una predetta morte. Nella seconda sezione, Nel canto, voci diverse, da quelle dei migranti a quelle che nutrono sogni, visioni, inquietudini, volontà di riscatto da ingiustizie e vessazioni, compongono la partitura di un diario di viaggio attorno e dentro terre in cui l’avventura del vivere scandisce le sue tante versioni, rinnova la ricerca di approdi e la fatica di piantare nomi in un mondo caduto dalla memoria/ e dall’alfabeto. Ci sono vie scavate da passi prigionieri di un destino scritto da altri, moltitudini ridotti a numeri e resi, perciò, invisibili, sciami persi dentro rotte di morte dove le donne si truccano di pianto/ i figli ci strappano le dita/ci avvolge il tepore di carne ammassata come legna. Ci sono volti senza bocche, vite senza colori e canti che vanno strappati dal silenzio per continuare a dire, anche solo con un soffio ferito, Non credo nelle guerre/origine del viaggio nelle acque del destino/credo all’acqua per piante assetate e tempie bollenti di/creature ancora in fasce. […] Non credo nella pace/dei sermoni, dei proclami di lingue marcescenti,/credo nella pace che non sventola su bandiere iridescenti/come fiamme di un sorriso. Nella terza sezione, Ancora lì, oltre i margini, il respiro delle vite si avvolge attorno ai racconti nascosti, dimenticati, ma vivi sotto la pelle; parole raccolte una a una, come grani di una collana infinita con cui continuare a compiangere sia i vivi che i morti/ a soffiare sul fuoco per occultare le croci/a stremare le mani per contare i perduti. Le storie salvate dall’abbraccio delle parole ricompongono geografie divelte e accolgono i tumulti delle marce e le orme dei popoli.  Nei versi di Simone Sibilio, come rileva Vincenzo Mascolo nella Nota critica alla prima edizione, si avvertono temi e tratti distintivi della poesia araba che, senza mai uscire fuori dalla misura scelta dall’Autore, conferiscono alla sua opera un timbro particolare, concorrendo a definire una cifra poetica chiara e capace di alternare con efficacia, diversi registri. Una poesia che ripropone e rilancia, da latitudini diverse dello sguardo e del mondo, l’affanno dei tentativi, di ognuno di noi, di afferrare e tenere insieme bussola e orizzonte, diritti e parola, passi e direzioni scelte. Per questo è importante ricordare, ancora una volta, che In fondo/è dal fondo che infuria, improvvisa,/la bianca tormenta della poesia/ a scrivere il tempo.
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