La stanza accanto

New York. Dopo la presentazione del suo ultimo libro, la scrittrice Ingrid ritrova la vecchia amica Martha, giornalista in zone di guerra, malata terminale a causa di un tumore alla cervice. Le due si riavvicinano in ospedale e nella casa di Martha, che racconta a Ingrid della figlia Michelle avuta giovanissima da un ragazzo traumatizzato dalla guerra in Vietnam e morto prematuramente. Stanca delle sofferenze, la reporter chiede all’amica di essere accompagnata a morire, condividendo con lei per pochi giorni una casa nei boschi intorno a Woodstock. Ingrid attraverserà ancora le ultime ore di Martha, accettando di viverle accanto e conoscendo i rischi di una scelta autonoma e fuori dalla legge dello Stato, prima di incontrare Michelle, la figlia che dà continuità alla vita.

Tratto da un romanzo di Sigfrid Nunez, La stanza accanto di Almodovar (Leone d’Oro a Venezia 2024) è un’elegìa elegante e commossa sul mondo in declino e sul senso della vita individuale, che riesce a costruire uno scopo grazie alla bellezza nascosta nella natura anche umana, capace di raccontare la vita e farne un disegno (in)compiuto attraverso la parola e l’arte.

Carrington (1995)

Un film intertestuale

Non a caso è la scrittura che motiva e salva le protagoniste, ma tutto il film è percorso da incroci e rimandi che attraversano letteratura e cinema, attingendo a un immaginario che probabilmente è molto caro al regista.  Ingrid sta coltivando un progetto letterario sulla pittrice Dora Carrington e sul suo rapporto irregolare con lo scrittore omosessuale Lytton Strachey, amici di Virginia Woolf; Martha è come incantata dalle sublimi parole conclusive di “Gente di Dublino” di Joyce, cioè quelle che chiudono il racconto “I morti”.  Nel primo caso l’immaginario cinefilo va al bel film Carrington (1995) di Christopher Hampton, in cui il personaggio androgino di Dora è interpretato da Emma Thompson; nel secondo caso le parole sussurrate da Martha (l’androgina Tilda Swinton) ci conducono inevitabilmente al bellissimo ultimo film di John Huston, The Dead (1987), in cui risuonano le stesse parole: “E la sua anima gli svanì adagio adagio nel sonno mentre udiva lieve cadere la neve sull’universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine sui vivi e sui morti”. Il testo joyciano accompagna immagini di evidente bellezza compositiva, dopo che Ingrid e Martha hanno ritrovato il sorriso con la famosa sequenza di Buster Keaton inseguito dalle aspiranti spose (e dalle pietre) in Seven Chances (1925).

The Dead (1987)

Un’opera testamentale(?)

Negli ultimi giorni vissuti nella “stanza accanto” le due amiche ritrovano la sintesi delle loro esistenze e la continuità in Michelle, nonostante le guerre ancora da vivere in un mondo di regole assurde e fanatismi, nel quale l’eutanasia è un atto di compassione tradotto in reato. Almodovar tocca vari temi sollevandosi come un fiocco di neve ovattato sull’ingrato destino umano, ricorrendo alla delicatezza poetica dei suoi colori e alla fiducia nell’amore che solo può salvarci, senza impartire alcuna lezione e scegliendo una luminosa sobrietà, pari alla grandezza di due attrici come Tilda Swinton e Julianne Moore. E poco importa se qualcuno non ha ritrovato nel film il brio vitalistico e umorale del regista spagnolo, non vedendo in quest’opera crepuscolare l’affermazione, altrettanto vitale, della libertà di scegliere come e quando scrivere la parola “fine” al film della vita.

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