Il suono della nave in porto si ripeté tre volte facendo sobbalzare coloro che stavano affacciati dalla parte di prua. L’imbarco procedeva lento come il pomeriggio che andava incontro alla sera.
Si preparava un tramonto estivo da pomeriggio caldo e da sole bianco, nulla di particolare di fronte agli smaglianti tramonti dei mesi primaverili.
La primavera nelle isole inizia giĂ a Febbraio e, quando il sole splende fra le nuvole, a volte nel tramonto regala ineguagliabili spettacoli.
Daniele era arrivato molto in anticipo, era stato fra i primi a salire la scaletta d’imbarco appena aperta. Sistemata l’auto in garage e la valigetta in cabina, si era messo a girovagare per la nave. Andava su e giù dal garage per prendere dall’auto oggetti che aveva dimenticato come i fazzolettini di carta o il filo della batteria del cellulare. Ma era solo un modo per nascondere l’ansia.
Mancava più di un’ora alla partenza e indugiava a guardare dall’alto il movimento sul molo.
La fila delle auto che s’allungava in attesa dell’imbarco, i passeggeri che s’affacciavano per salutare i parenti, gli sposi in partenza per la luna di miele ancora festeggiati dalle fanciulle in età da marito in attesa del lancio del mazzetto.
Era uso infatti che la sposa lanciasse i fiori dal punto più alto della nave e si auspicava che la ragazza che fosse riuscita a prenderli a volo si sarebbe sposata entro l’anno.
Ma la gente intorno alla nave non era tanta, ormai erano diminuiti i matrimoni e con questi le coppie che partivano in nave affrontando una prima notte sul mare.
Le usanze cambiano nel tempo e tanti sposi non lanciavano alcunché né erano accompagnati da parenti vocianti.
Affacciato al parapetto del primo piano, Daniele guardava la città impigrita dal caldo e sdraiata esausta ai piedi delle colline che l’abbracciavano.
Ogni tanto lampeggiava la luce del cosiddetto grattacielo, un palazzone di trenta piani che negli anni cinquanta aveva squarciato il centro storico nella zona piĂą commerciale.
Sul lungomare s’allineavano maestosi alberghi, palazzi, giardini, chiese.
Sul lato destro il Castello a mare quasi alle falde del monte che chiude a promontorio il golfo.
Daniele si perdeva a guardare la città e s’impigriva della sua pigrizia, incapace di pensare a niente, senza uno straccio di ricordo che potesse ridargli qualche scampolo di vissuto.
Nessuna connessione…try later diceva il suo cervello di bordo.
Dovette quasi imporsi di pensare ai suoi numerosi parenti, zii e cugini come nelle famiglie tradizionali, a sua madre che piangeva ogni qual volta incrociava il suo sguardo.
Tanino, suo cugino, era maggiore di alcuni anni, aveva vinto il concorso subito dopo la laurea e aveva un buon lavoro.
Una volta, nel momento dell’addio, gli aveva furtivamente messo in tasca un biglietto da cinquemila lire.
Anche la zia aveva dato il suo contributo mensile per pagare l’affitto oltre la provvista paterna.
Daniele si vergognava di tante attenzioni come se fosse un bambino incapace di provvedere a se stesso, era già un adulto, a volte si ribellava a tante attenzioni e in seguito, con la scusa di non creare trambusto in famiglia, chiese che lo lasciassero arrivare e partire “senza le trombe della banda comunale”.
Si ricordò che non aveva preso dall’auto una polo di ricambio per il giorno dopo e tornò ancora una vola in garage per le strette scale.
La nave emise ancora il suo suono cupo e sgradevole ma restava attraccata al molo.
Ora imbarcavano camion e mezzi pesanti.
Famiglie con bambini che giocavano rumorosamente, coppie che si facevano fotografare o si scattavano foto a vicenda dato che ancora non avevano inventato la modalitĂ autoscatto.
Alcuni cani giĂ mugolavano per essere stati rinchiusi in anticipo nel canile mentre altri gironzolavano impettiti al guinzaglio dei loro padroni.
Un gioco di sguardi, in su e giĂą come accade sulle strade del passeggio, qualche sorriso di convenienza o la conversazione di chi partiva in compagnia o aveva giĂ trovato da chiacchierare giĂ prima della partenza.
Daniele andò in bagno per la pipì, quanto tristi e lucide le latrine delle navi, dove non si riusciva a muoversi né abbassarsi!
Scese un’ultima volta in garage per prelevare dalla valigia il rasoio elettrico.
Il guardiano lo guardò male, infastidito per l’andirivieni dopo che l’altoparlante aveva già raccomandato ai passeggeri di prelevare gli oggetti necessari in quanto l’accesso al garage sarebbe rimasto interdetto durante la navigazione.
La nave era ancora in porto e lui stava davvero esagerando.
S’accendevano le luci di San Martino e di Baida mentre la Chiesa di luce dorata s’intravedeva seminascosta dalla collina di fronte al Parco. Una corona di gioielli architettonici e naturali pensò accarezzando con lo sguardo le colline fino al castello sulla Montagna sacra del Pellegrino sulla sua destra.
Da piccolo si commuoveva come un migrante qualsiasi.
Partire con la nave è diverso che partire con il treno o con l’aereo.
In aereo non si ha il tempo di rendersene conto mentre, al contrario, in treno ci si allontana dolcemente, dal centro alla periferia, ai paesi dei sobborghi, ai centri della costa prima di iniziare il lungo viaggio fra aranceti e filari interminabili di fichi d’india e ulivi.
Scartati gli aerei troppo costosi per uno studente, Daniele riteneva che per un isolano il mezzo piĂą naturale fosse la nave.
L’aveva scritto anche Goethe che viaggiare in nave è un’emozione incomparabile, l’isola che all’arrivo appare all’orizzonte, una striscia grigia sull’azzurro intenso, poi lentamente distingui la cornice dei monti, infine il golfo e la città incastonata dentro con i suoi bastioni, i suoi giardini e le sue chiese.
Rilesse nella mente il viaggio in nave a Palermo dell’illustre viaggiatore.
Conosceva quasi a memoria quel passo da quando il suo docente di tedesco, il grande Bonaventura Tecchi, aveva inserito “Italienische Reise” e “West-Ostlicher Divan” come testi base dell’esame annuale.
Come l’arrivo per Goethe, anche la partenza avvenne nello stesso ordine.
Pian piano avrebbe visto allontanarsi tutto fino a diventare all’orizzonte un filo di luce nel buio della sera. Però, si disse, se lo ripeteva spesso come una sfida a se stesso, “ormai da anni questa mia città è meno mia”. Sorrise all’idea che in auto non avrebbe più fatto le sarabande fra le traverse di via Ruggero Settimo come faceva da ragazzo e poi, da uomo ormai “civilizzato”, non si sarebbe più permesso di suonare il clacson ogni due secondi e neanche di imprecare perché l’auto davanti procede troppo lentamente. “Chi se ne fotte” disse guardando il castello Utveggio che s’allontanava lentamente come per sfida.
“Questa città è sicuramente meno mia, quasi non mi appartiene più ora che conosco molte altre città nel mondo altrettanto belle e altrettanto mie per i bei ricordi che mi legano ad esse per storia, cultura o per esperienze di viaggio”.
Pensò a Barcellona, a Malaga, a Tunisi, e poi anche al Bosforo, ad Istanbul e poi, quasi a chiudere il giro largo del Mediterraneo, a Marsiglia.
Mancava in quel suo Mediterraneo ingeneroso la cittĂ dove aveva trascorso i non facili anni della adolescenza.
“La vita è altrove!” pensò spavaldo guardando il molo ormai vuoto d’auto e di parenti… “vaffanculo!”
Imbarco completato, la nave è in partenza, sibilò nel megafono una voce sgradevole da comandante o similare.
S’udì il classico rumore di ferraglie dell’ancora che veniva avvolta e ancora un sibilo, segno inequivocabile d’addio.
Le luci sul lungomare erano già accese d’una luce pallida ma il Foro italico con le Mura delle cattive gli parve splendere di sfolgorante bellezza mentre, staccandosi la nave dal molo, gli offriva, come un fascio di lavanda profumata, lo skyline della città .
S’appoggiò con i gomiti al legno del balcone già umido, la testa fra le mani.
Guardava inebetito quell’andare indietro che svelava una bellezza che era il suo torto.
“Io l’ho uccisa andando via come questa sera” Maledisse incazzato la città ignara. Anche lui non era cosciente che era in fuga da se stesso e che si trattava di un delitto d’amore.
Con chi, con che cosa avrebbe voluto prendere le distanze come quella sera la nave che metteva il mare giĂ scuro fra lui e la terraferma?
Senza risposte sarebbero rimaste le domande finché non avrebbe fatto chiarezza con se stesso.
Ormai sapeva quasi tutto della sua strada giĂ tracciata ma oscuro gli sarebbe rimasto il primo passo, quello decisivo e scatenante.
Come un mantra si ripeteva chi se ne fotte e vaffan… mentre s’accorse che era bagnato di sudore.
Passò su fronte e viso il fazzoletto che sul collo si arrotolò su se stesso e la carta bagnata avvizzì.
Ne prese un altro e si asciugò le braccia.
La polo era incollata alla pancia e il rosso era divenuto amaranto.
Gli parve che tutti lo guardassero mentre il sudore continuava a rigargli il viso e colava sugli occhiali.
Cercò senza riuscirvi di staccare la maglietta dalla pelle e s’avviò verso la sala interna dove c’era un po’ di frescura. Pensò che aveva fatto bene a prendere la maglietta di ricambio.
Nella sala non sopportò l’aria condizionata, per alcuni minuti batté i denti, si sedette frugando nella borsa alla ricerca della maglietta asciutta.
Come se avesse bevuto, cercò la cabina, si stese sul letto e poi lentamente, dato che era solo, si cambiò la maglia e allentò la cintura dei pantaloni.
Si asciugò il viso ancora una volta e chiuse gli occhi. Forse s’assopì ma passò poco tempo.
Il postale era appena partito e tornò sul ponte.
C’erano ancora tanti passeggeri a godersi il fresco della sera sul mare. Guardò ancora le luci della città ormai lontana, un’ultima carezza con lo sguardo e tornò sui suoi passi ma fece il giro della nave per rientrare nelle sale interne da poppa.
Gli piaceva guardare il mare aperto e il varco aperto dalle onde.
Si sedette su una poltrona libera, sbuffò, uno sbadiglio e un vaffa, si diresse verso il lato opposto.
Il self service era già aperto, c’era una lunga coda, quella fila di cibo e di bevande colorate gli fece schifo. Nella sala a fianco annunciavano un film americano.
Si diresse al bar, nella penombra stavano preparando una pedana per il cantante che avrebbe allietato la serata.
Il banco era vuoto, il cameriere asciugava e metteva in ordine le stoviglie.
Chiese un caffè e tornò in cabina a guardare il letto vuoto della cuccetta superiore.
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