Continuare a riflettere sull’opera di Alberta Bigagli, mi permette di entrare in quella che io chiamo “poesia organica”.  Lavorare la poesia biologicamente, non solo letterariamente, al punto da attraversare la propria interiorità nella conoscenza, nella consapevolezza, nella capacità di nominazione, di creazione testuale e extratestuale, generativa di poesia in libri, ma con un approccio poetico inclusivo del verbale e del non verbale, a ponte verso qualunque tu. Il tu nel carcere, il tu negli ospizi, il tu in un ospedale psichiatrico. Quel tu imbozzolato nel proprio mutismo dolente che, improvvisamente, fragilmente in una gradualità crescente, emerge e riacquista vitalità, ritrova dignità di dialogo dentro il plurale umano.

L’opera di Bigagli innesta la poesia allo studio psicologico, pedagogico, filosofico, studia le dinamiche della poesia orale e le flette per raggiungere le cavità abitate dell’inferno.

Le sue esperienze più intense e cruciali si sono svolte in Ospedali Psichiatrici, ricordo quello a San Salvi, nello storico ospedale psichiatrico fiorentino, e nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo.

Bigagli settimanalmente teneva incontri di linguaggio espressivo stimolando la parola, l’ascolto reciproco, trascrivendo preziosi zampilli lirici sgorgati dagli ospiti dell’Ospedale. Inventò un metodo: “Tu parli io scrivo” che documenta.

Qui scelgo una piccola antologia tratta da Olindo del fuoco, Poesia dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo, edito da Giubbe Rosse nel 2001. Gli autori hanno un nome a specchio dentro cui è riflessa la propria intimità.  

Fa bene sostare in queste oasi liriche, suscitate con tanta rigorosa e colta passione. Fa bene accorciare la distanza che ci ha allontanato dall’orbita del pensiero di Basaglia.

Olindo del fuoco:

Il Buddha era

vicino alla miniera

là nel mio paese.

Era una bella statua

ma ha preso fuoco.

È stato il cavallo che ha fregato

lo zoccolo sulla pietra

e ha fatto volare le scintille.

In quel momento

è successo che il sole

è uscito da una nube

e si è visto che era ammalato.

Ha perso il colore rosato

ed è diventato ombroso.

Le allodole allora

se ne sono andate per sempre.

*

Una volta nevicò in montagna.

Io ero un ragazzino.

Cercavo di camminare.

Arrivai fino al bosco.

È passata una donna a cavallo.

M’ha detto che voleva

andare al suo paese

e le ho indicata la strada.

Cercava suo marito.

Suo marito io lo conoscevo

lo avevo sentito in un comizio.

Era Emilio Lussu.

*

Io sono Olindo IX.

Sono il Papa.

Cosa faccio?

Prego per tutti.

Se vedo un cavallo a pascolare

e qualcuno vuole montarlo

io gli dico

“Vai giù che non è tuo”.

Mantengo l’ordine e la giustizia.

*

Giovanni del mare:

La sera scende

la pillola attiva le sue

funzioni neurologiche.

Ed ecco che il poeta scrive

prima che il cuore s’addormenti.

*

Il mare.

In Calabria dove vivevo

la mattina quando mi alzavo

mi affacciavo alla finestra

e salutavo il mare.

Avevo preso sintonia col mare.

Noi ci capivamo

prendevo il mio motorino

che ero distante undici chilometri

e andavo sul lungomare.

Facevo dei giri e il mare

lo salutavo passando.

Ormai avevamo

installato un’amicizia.

Mi sedevo sulla riva

e lo scrutavo.

Giravo la testa a mezzaluna

disegnando un semicerchio

per vederlo tutto.

Come ci amavamo!

*

Continuo col mare.

Dopo aver corteggiato il mare

Per molti anni

ho avuto un segnale nel sonno.

Ho sognato che il mare

aveva invaso tutti i paesi

posti fino al monte.

Io mi trovavo

seduto sopra a una roccia.

Vedevo le onde chiarissime

che spazzavano via.

Nonostante l’uragano

io sono rimasto illeso.

Grazie mare.

*

Giuseppe delle capre:

Noi pastori siamo silenziosi.

Sulla montagna il silenzio.

Si sente il belato delle pecore.

*

Livio di Dio:

L’estremità della vita.

La nostra sentimentalizzazione.

Con amore e con odio.

*

Eccentrico io.

Dominante sentimentale.

Doveroso e triste.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *