Lo scorso 5 agosto, in occasione del XXVI Premio nazionale di poesia “Oreste Pelagatti”, l’associazione Le Lunarie di Civitella del Tronto (TE) ha conferito il Premio Speciale alla memoria a Roberto Michilli (Campli 1949 – Teramo 2024) per il suo contributo alla letteratura.
Un tuffo nella commozione riavvicinando al cuore l’energia di un uomo che ha donato alla comunità dei lettori numerosi romanzi, saggi e traduzioni di classici come Flaubert, Lermontov, Stendhal. Un tuffo nel ricordo della “trama dei giorni”, quelli trascorsi a Civitella del Tronto, eletta a ristoro emotivo di Roberto, che si è stretta in un abbraccio collettivo pieno di gratitudine e vicinanza. 
Potrebbe sembrare una delle tante occasioni commemorative, ma quell’incontro si è trasformato in un vero luogo della memoria e del futuro, quel futuro che Roberto Michilli – seppur con delle pause di rassegnazione e sconforto – immaginava migliore attraverso gli occhi dei lettori. Non semplici lettori, sia ben chiaro. Michilli scriveva pensando a quei lettori disposti a calarsi fino in fondo nei panni dei personaggi del suo mondo narrativo. Per esorcizzare una solitudine insita nel gene emotivo di ciascuno di noi? Per trovare un compagno di viaggio tra le righe della propria creatività? Per vivere insieme ai lettori le vicissitudini di figure di carta, che tanto di carta non erano per l’accuratezza con cui venivano rappresentate sul foglio? Una cosa è sicura: Roberto Michilli non aveva lo sguardo del romanziere autoriferito, era impegnato più nella ricerca che nella costante affermazione del sé. I suoi romanzi erano un invito ad entrare nel suo mondo. Cercava il lettore per completare – per renderne vivo – il senso letterario. Per abitare lo stesso luogo di investimento emotivo: l’autore nella creazione letteraria e il lettore nella interpretazione. Entrambe forme di coinvolgimento che portano a sperimentare una consonanza di bisogni profondi.
La responsabilità della parola era l’anello con cui sugellava il rapporto con il lettore: guadagnarne la fiducia era una priorità. E mantenerla alta – non tradire il patto significa non piegarsi alle aspettative e al gusto della moltitudine compiacendone le tendenze di mercato. Significa non perdere la propria riconoscibilità in cambio della dea visibilità. Vuol dire continuare a difendere l’integrità di un’istanza autoriale che resiste all’istantaneità dei consumi, che non baratta la propria autenticità per indossare un abito a taglia unica.
Tutto il suo mondo narrativo era cucito dall’ago del rispetto per la parola, nel tentativo di tessere un abito su misura – a misura di umanità –.
Ecco, ora volgiamo al presente quei verbi che riguardano un autore che ha lasciato un grande vuoto soprattutto in chi l’ha conosciuto, ricordandoci – richiamando al cuore – un’anima che continua il suo cammino tra le pagine che ci ha donato. Il viaggio letterario di Michilli porta con sé un messaggio: la scrittura non può e non deve essere un campo di battaglia di tensioni personali senza il filtro della mediazione. La scrittura non è una sacca di intuizioni rapite furtivamente qua e là, e svuotata all’improvviso di fronte all’ignoto.
Non basta coglierle – le intuizioni –, bisogna coltivarle, farle crescere, maturare.
Certo con un tocco di idealismo, di malinconia, di ingenuità, ma con una forza – diremmo oggi resiliente –, le opere di Roberto Michilli sono la testimonianza di una onestà intellettuale mai venuta meno. Come tutte le imprese impegnative, che richiedono sacrificio, statura, cifra, c’è uno scotto da pagare. Non che siano mancati gli estimatori e i lettori appassionati, ma Roberto Michilli avrebbe meritato più attenzione. E dare attenzione vuol dire anche prestare ascolto, accogliere la rivelazione dell’altro. 

Nel 2010 Roberto Michilli incontra la Di Felice Edizioni che pubblica i suoi ultimi sei romanzi (L’attesa della felicità, 2018; Sentimentàl, 2019; La sirena dei mari freddi, proposto al LXXV Premio Strega nel 2020; Scritto dalla luce, 2021; Il cuore della civetta, 2023; La trama dei giorni, 2024), un saggio unico nel suo valore di ricerca storica sulla rivolta dei decabristi nella Russia degli zar (14 dicembre 1825. La rivoluzione immobile, 2022), e inaugura con la sua direzione la collana di classici “I contemporanei del futuro. Omaggio a Giuseppe Pontiggia”. La sua è stata una grande perdita umana e professionale: credeva molto nella qualità, nella ricerca di un linguaggio capace di aprire alla bellezza della relazione, nel potere costruttivo della parola. Credeva nell’idea e nell’esercizio quotidiano della dignità. Sì, perché la dignità non è propriamente detta se rimane ferma nella terra ruffiana della speculazione.
Credeva che la letteratura fosse un luogo di educazione sentimentale, l’occasione in cui le nostre solitudini incontrano quelle degli altri, sperimentando la condivisione. Credeva che utilità e valore, urgenza e desiderio convivessero, che fossero la misura di un’urgenza: resistere contro l’ecumene dell’indifferenziato.

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