Il fenomeno del brigantaggio, italiano ed europeo, ha alimentato, in varie fasi storiche, miti, leggende, polemiche, dibattiti, che hanno depositato, di volta in volta, materiali di varia natura, fino a costruire una fitta rete di intrecci e suggestioni che, spesso, ne hanno nascosto i tratti essenziali dando vita a tante e diverse narrazioni, non sempre ancorate allo studio dei documenti e delle fonti. Arriva quindi, come una salutare boccata d’ossigeno, il volume “Lotta al brigantaggio, Prevenzione e repressione tra norme e prassi (secoli XVIII-XIX)”, curato da Francesca Fausta Gallo ed Emilia Musumeci, frutto del lavoro di anni di ricerca, che, in virtù di un approccio nuovo e interdisciplinare, offre una lettura che integra la dimensione politico-sociale con quella giuridica. L’altro, innovativo elemento che va sottolineato, è la scelta di una cronologia ampia, che non ha circoscritto il brigantaggio italiano al periodo post-unitario ma ha esteso l’indagine fino al primo Novecento. Questo ha permesso di capire meglio, tra scarti e persistenze, la centralità che il fenomeno del brigantaggio ha rappresentato nella storia italiana e gli intrecci con la “questione meridionale” e la “questione criminale”. Il volume si articola in due parti distinte: la prima costituita da saggi storici, la seconda, invece, è dedicata alla dimensione giuridica. Come scrivono le curatrici nella Prefazione: “Particolare spazio viene riservato alla tensione tra giustizia ordinaria e giustizia di tipo militare, nel tentativo di reprimere, prima, il vecchio banditismo di ancien régime, e successivamente la nuova piaga del brigantaggio post-unitario, sempre in bilico tra norma ed eccezione. Non stupisce, del resto, che la legislazione di emergenza adottata nel neonato regno d’Italia per fronteggiare il fenomeno sbrigativamente liquidato come brigantaggio, costituisce uno di quei ‹‹caratteri originari›› che avrebbe accompagnato l’ordinamento punitivo fino agli anni Ottanta del Novecento”. Questa notazione, per restare ad un singolo versante, ci permette di cogliere, con immediatezza, quanto feconda si sia rivelata la scelta della scala cronologica e della conseguente possibilità di indagare i processi storici lungo direttrici temporali di più lunga durata. I saggi del volume, tutti densi e ricchi di stimoli, offrono un quadro davvero ampio e approfondito del fenomeno del brigantaggio, permettendo al lettore di superare le sterili e, spesso pretestuose, secche costituite dalle contrapposte letture “patriottiche” e “neoborboniche”.  Tra i temi affrontati, tanto per dare una idea, seppur sommaria, cito, per la parte storica: “‹‹Per meriti di brigantaggio››. Uso politico e identificazione del brigante nel Regno di Napoli tra età napoleonica e Restaurazione (1799-1815), di Francesca Fausta Gallo“; “Prevenzione e repressione del dissenso nell’Italia liberale. Attività di intelligence e monitoraggio delle associazioni politiche (1861-1876), di Francesca Frisone; “La terra maledetta: dal brigante al mafioso. La questione criminale meridionale nella penalistica siciliana del secondo Ottocento; “Il brigantaggio in Istria nelle relazioni del Procuratore superiore di Stato Carlo Chersich”, di Matteo Perissinotto. Per la parte giuridica: “Popolazioni ‹‹invaghite del proprio cielo››: la deportazione nei progetti per la repressione del grande brigantaggio in Italia”, di Olindo De Napoli; “Sicurezza interna dello Stato, conflitto politica-magistratura e forme di repressione del brigantaggio nel Mezzogiorno italiano prima e dopo la legge Pica”, di Giuseppe Mecca; “ Norma ed eccezione, normalità e “devianza”, “buoni e cattivi”: il fenomeno del brigantaggio e le zone grigie della penalistica liberale”, di Monica Stronati; “Cesare Lombroso e il brigantaggio; tesi e malintesi” di Emilia Musumeci. Il volume si chiude con il saggio “Il brigante e il partigiano. Un’analisi giusfilosofica” di Riccardo Cavallo, in cui le due figure “irregolari” vengono analizzate attraverso le “visioni” di Carl Schmitt e Eric Hobsbawm, che pur partendo da approcci molto diversi, anzi opposti, presentano sorprendenti punti di contatto. Il saggio di Cavallo si chiude con una citazione di Walter Benjamin, che ben riassume il senso e la necessità di questo volume e, più in generale, della ricerca storica su questi temi: ‹‹Anche se non si distinguessero in nulla dagli altri criminali, i briganti resterebbero pur sempre i più nobili tra i delinquenti, perché sono gli unici a possedere una storia››.

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