“Sarà anche mite, ma certo la colomba è uccello temerario, che sfida l’ignoto”
Ernst H.J. Gombrich (in Psicoanalisi e Storia dell’Arte, 1954)
Una delle immagini più celebri dell’arte tardoantica è certo quella delle Colombe abbeveranti, particolare dei mosaici presenti in una lunetta del Mausoleo dell’Imperatrice Galla Placidia, a Ravenna (V sec. d.C.). Due colombe bianche che bevono da una coppa: per il misticismo bizantino, simboleggiano le anime cristiane assetate di pace che si abbeverano alla grazia divina. “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva”, afferma il Cristo nel Vangelo. Per i cristiani, la colomba rappresenta la figura dello Spirito Santo e insieme è “il simbolo della pace”, essendo legata all’episodio biblico di Noè: dopo il diluvio universale, una colomba che porta nel becco un ramoscello d’ulivo annuncia la pace e la fine dell’ira divina.
Fra il 1174 e il 1175 anonimi artisti bizantini realizzarono altri splendidi mosaici nella Cattedrale di Santa Maria Nuova nella Città metropolitana di Palermo, più nota come Duomo di Monreale, costruito a partire dal 1172 per volere di Guglielmo II d’Altavilla, re di Sicilia dal 1166 al 1189. Una delle storie bibliche narrate è quella del Diluvio: ad essere rappresentato è proprio il momento in cui la colomba porta a Noè il ramoscello di ulivo, segno del ritorno alla vita e della riconciliazione con Dio. L’immagine è carica di significati allegorici, ma anche attraversata dal calmo respiro di un’arte luminosa, classicamente equilibrata.
Alla fine del secolo successivo, presumibilmente tra il 1290 e il 1295, Giotto da Bondone affresca la Basilica superiore di Assisi con le Storie di San Francesco, personaggio che della pace ha fatto uno dei cardini della sua vita e del suo operare. Celeberrima è la scena della Predica agli uccelli, al cui centro, insieme alla figura del Santo, si accampa proprio una bianca colomba, che vola dall’albero verso la figura di Francesco, e che formalmente si pone in stretta corrispondenza con essa.
Ma sembra tornare, la figura di questo piccolo volatile, quasi misteriosamente camuffata, in un’altra scena dello stesso incomparabile ciclo di affreschi, quella del celebre incontro di Francesco con il Sultano Malik al-Kāmil, nipote del Saladino e Sultano di Egitto e Palestina. Nel 1219, in piena V crociata, un semplice frate di Assisi decise di oltrepassare la frontiera del campo crociato, in Egitto, e incontrare il capo dei musulmani, armato solo del suo saio e della sua fede, per parlare di pace. Si tramanda che, disarmato dal suo coraggio e dalla sua mansuetudine, il Sultano lo trattò con gentilezza e benevolenza. Francesco, che parla di pace, non teme la violenza del nemico. Una situazione di per sé drammatica e carica di inquietudine viene trattata da Giotto alla luce di uno spirito pacificatore e colloquiale, inserendo le figure rappresentate in un impianto formale e cromatico di sereno nitore. Quasi una conversazione tra amici, in un pomeriggio estivo. Sulla sommità delle colonnine dell’edificio a sinistra si accampano piccoli angeli, ma il secondo da destra è formalmente e cromaticamente differente, di colore più chiaro, senza le sfumature ocra e marrone visibili negli altri, meno definito nei tratti e in parte velato da un drappo a festone che unisce le colonne. Più che di un angelo, la sua sagoma è quella di una colomba…
Al realismo dallo spirito tanto classico quanto colloquiale e quotidiano di Giotto, tale da rendere la sua pittura così spontaneamente e naturalmente capace di comunicare con chiunque – una vera “Biblia pauperum” – si contrappone il barocco sontuoso, esuberante e turbinoso di un Peter Paul Rubens, che opera nel Seicento, teatro di guerre sanguinose e lunghissime, come quella dei Trent’anni. Ecco perché il pittore fiammingo Rubens, che spesso viaggia come diplomatico, ambasciatore di pace, presso le corti europee, dipinge l’assurdità della guerra nella sua Allegoria della Pace del 1630 (Londra, National Gallery) offerta dopo la tregua tra Spagna e Paesi Bassi al re Carlo I d’Inghilterra, presso la cui corte Rubens operò tra il 1629 e i primi anni del decennio successivo. La donna sulla destra, dal manto azzurro (che è anche il colore che nella tradizione cristiana evoca la Vergine Maria), incarna la Pace, che elargisce agli uomini i doni ricevuti da Minerva, dea della saggezza, disprezza la guerra e caccia il feroce Marte, suscitatore di conflitti; mentre un putto libera una bianca colomba, che s’invola proprio al centro della fascia inferiore del dipinto. In linea trasversale con il putto e la colomba è rappresentata la figura stessa del pittore, intento a dipingere la scena dal suo punto di vista.
E quanto a conflitti, il cosiddetto “secolo breve” – il Novecento – come purtroppo sappiamo non è inferiore a nessun altro… Nel Ventesimo secolo la pace è stata quasi sempre solo un miraggio, una Fata Morgana, un’immagine dipinta da un artista… Due guerre mondiali lo hanno attraversato ed ha lasciato in eredità al secolo (e millennio) successivo infiniti conflitti, tutt’ora in corso.
La rabbia dell’arte contro la guerra esplode nel 1937, per mano di Pablo Picasso, nella tragedia dipinta di Guernica, celeberrimo capolavoro con il quale il pittore condanna il bombardamento nazista sulla cittadina iberico-basca, avvenuto quell’anno stesso ad aprile. Qui compare anche una colomba, nascosta nell’ombra tra il toro e il cavallo, quasi cancellata, ridotta a contorno o sinopia, impazzita, sfigurata da un sussulto di morte. Il suo grido strozzato fa eco a quello della figura di donna a sinistra…
Dopo la fine della guerra però, la colomba ritorna in Picasso come simbolo della speranza di pace, rappresentata in figure che rievocano la tenerezza e l’innocenza protagoniste di un’opera giovanile come Bambina con la colomba, addirittura del 1901.
Nel 1949 Picasso inizia a raffigurare la colomba esplicitamente come simbolo di pace: comincia con una incisione – che l’importante stampatore parigino Fernand Mourlot considerava “una delle più belle litografie mai eseguite”, le cui linee e tonalità “raggiungono il massimo che si possa ottenere dalla tecnica del disegno a calco” – detta La grande colombe e realizzata per il manifesto del Congresso Mondiale dei Difensori della Pace (Parigi, aprile 1949). Alla figlia che gli nacque il giorno prima dell’apertura del Congresso, Picasso volle dare il nome spagnolo di Paloma, Colomba.
L’anno successivo l’artista, ormai celebre paladino e interprete figurativo del pacifismo, realizzò anche il manifesto per il Secondo Congresso dei Difensori della Pace (Sheffield, Inghilterra, novembre 1950), per il quale disegnò una Colomba in volo. Intervenendo al Congresso, Picasso affermò che per lui il binomio pace VS guerra rappresentava quello vita VS morte, che considerava alla base della propria esistenza e della propria arte.
In seguito, l’artista realizzerà numerose altre “colombe della pace”. Ma la più celebre e rappresentativa “colomba della pace” picassiana è forse quella detta La colomba blu, estremamente stilizzata, essenziale e “minimalista”, disegnata a tratto leggero con pastello azzurrognolo nel 1961, e utilizzata per il manifesto del Congresso Nazionale del Movimento per la Pace tenutosi nel ’62 in Francia, a Issy-Les-Moulineaux. Nel suo becco ricompare il classico ramoscello di ulivo, retaggio biblico, invito alla tolleranza e alla fine di ogni divisione nel mondo. Più che il significato religioso, vale però qui quello sociale, riferito da Picasso inizialmente all’ideologia socialistica del Partito Comunista, a cui l’artista aveva aderito nel 1944, e successivamente associato ai movimenti della pace a carattere universale (in particolare quello inglese del filosofo-matematico pacifista Bertrand Russell) che negli Anni Cinquanta del Novecento avevano iniziato una grande campagna di comunicazione sociale contro ogni guerra. La sagoma della stessa colomba picassiana del ’61 verrà poi inserita dall’ONU sul fondo a strisce policrome della propria bandiera pacifista ufficiale.
Nel settembre 1953 era arrivata a Milano dal Metropolitan Museum di New York la grande tela Guernica – ormai opera-simbolo della lotta degli intellettuali europei contro il nazismo – per essere esposta nella stupenda Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, ancora martoriata dai segni degli incendi e dei bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale, e in attesa di restauro.
Settant’anni dopo, nel 1923, l’artista Michelangelo Pistoletto ricorda questo evento e insieme rende omaggio alle “colombe della pace” di Picasso con la mostra La Pace Preventiva. In questo omaggio ideale, una colomba tratta dal disegno dello studente Manish Paul porta nel becco non un ramoscello d’ulivo, ma il simbolo del “Terzo Paradiso” , formato da due cerchi allineati e contigui, agli estremi di un terzo cerchio, più grande, che rivisita il segno matematico dell’infinito: i due cerchi opposti –afferma Pistoletto – significano natura e artificio, quello centrale è la congiunzione dei due e rappresenta il grembo generativo di una nuova umanità: “Il tre rappresenta sempre una nascita, che avviene per combinazione fortuita, o voluta, tra due soggetti diversi che, congiunti, producono un nuovo sistema sociale”.
Secondo Edgar Morin, co-autore, con Pistoletto, del libro Attiviamoci. Impliquons-nous, Dialogo per il secolo (New Press, Pavia, 2020), è necessario un nuovo patto tra l’uomo e la terra, perché “si va verso processi di distruzione e di decomposizione che richiedono un cambiamento di strada”. In ciò, secondo Pistoletto, gli artisti devono porsi in prima linea: “affrontare le problematiche della società attraverso l’impegno dell’Arte, un’arte che unisce l’etica all’estetica”. È quanto fa anche l’artista-mito della più attuale contemporaneità: il “guerrilla street artist” Bansky, writer, autore di murales, regista e attivista politico, la cui identità è ancora ignota. Chiara, invece, la sua posizione in merito alla guerra. Realizzati in incognito, i suoi murales – apparsi inizialmente a Bristol, poi a Londra – compaiono ormai in tutto il mondo, portatori di un messaggio anti-capitalistico, anti-istituzionale, a favore della pace.
Nel 2005, dopo una lunga guerra, Israele si ritira dalla Striscia di Gaza, consegnando l’intero territorio all’Autorità Nazionale Palestinese.Bansky realizza, nei pressi del muro di separazione dei territori palestinesi da Israele, a Bethlehem, l’opera Armored Dove (West Bank, Cisgiordania): una versione amaramente ironica e provocatoria della colomba della pace, che porta sì, nel becco, il rametto di ulivo, ma indossa un giubbotto antiproiettile, e ha un mirino puntato sul cuore.
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