È stata una precisa scelta editoriale quella di non prendere la parola su CartaVetro a proposito delle guerre in corso. Lo abbiamo scritto nello Zoom del numero 5 del nostro blog:
La guerra è intorno e dentro noi, quella che si combatte con il fuoco e quella dell’aggressività delle prese di posizione; ci assale e ci lascia sgomenti. La raccontano i media ai quali non possiamo/non dobbiamo sempre credere, la viviamo nelle antitetiche prese di posizione dei gruppi che sostengono l’una o l’altra parte.
Noi non siamo capaci di schierarci qui. Può essere considerata indifferenza la nostra, può essere intesa come la volontà di mettere la testa sotto l’ala per non esporsi, può essere anche vista come una forma di cinismo, di assenza di sensibilità, ma il dolore, nel segno dell’impotenza, prende il sopravvento e ci lascia solo dire no.
Non rinunciamo all’attenzione a quanto accade, vorremmo piuttosto che la nostra “indifferenza” diventasse l’imparzialità che è alla radice di ogni forma di responsabilità, diventasse la facoltà etica che porta a riconoscere il compito, l’obbligo, di rispondere ai bisogni fisici, morali e spirituali di ogni essere, di ogni creatura.
Ora, dopo tanti mesi, quando i media mandano stancamente notizie nonostante la violenza che quotidianamente si perpetra, l’unica via ci pare quella di cercare approfondimenti, parole sapienti, conoscenze che riflettano sulle storie e le loro contraddizioni.
Mi sono imbattuta un mese fa in un libretto piccolo che subito suscita rispetto, Gaza delle Genti. Israele contro Israele, ed. Bordeaux 2024.
Nella prima pagina:
Non si uccidono i bambini. La memoria storica di Israele sa bene che cosa vuol dire la strage di bambini; è stata la sua invettiva contro Babilonia…, il suo ricordo della distruzione di Ninive…, l’oracolo su Samaria…
E questo è l’orrore che ha sofferto Israele (e il mondo con esso) dopo il racconto esacerbato dei militari israeliani su ciò che avevano trovato nel kibbutz di Kfar Aza devastato il 7 ottobre 2023 da Hamas (1417 morti, 240 ostaggi). Ma altrettanto orrore doveva provare il mondo tutto, quando la strage degli innocenti si è abbattuta, in risposta, sull’intera popolazione di Gaza, e di bambini ne sono stati falciati a migliaia, più di quanti bambini sono stati uccisi in conflitti armati a livello globale in oltre 20 paesi nel corso di un intero anno.
A scrivere è un vecchio signore di 93 anni, Raniero La Valle, giornalista e politico, da sempre attento ai temi dell’attualità e della giustizia a livello internazionale.
Le sue riflessioni mostrano come dalla tragedia in atto non sia possibile uscire con la vittoria di uno dei due schieramenti e come il tanto sbandierato progetto dei ‘due popoli, due stati’ sia una carta velina dietro la quale si nascondono le insipienze e gli interessi dei politici mondiali.Guardare alla situazione degli insediamenti israeliani, entrati in modo capillare e con un gran numero di presenze nelle zone palestinesi, mostra come sia impossibile definire contorni territoriali per le due appartenenze.
Le modifiche che sono state apportate alla stessa configurazione fisica dei luoghi, le città israeliane di fronte a quelle arabe, i presidi militari disseminati nelle aree abitate dai palestinesi, disposte queste a macchia di leopardo in mezzo a insediamenti israeliani, città e villaggi palestinesi circondati da colonie, rendono impraticabile una definizione dei luoghi.
Il 19 luglio 2018 lo Stato di Israele cambiava natura, almeno nella sua veste giuridica e ufficiale. Messo a tacere il sogno del sionismo che doveva unire democrazia ed ebraicità, diventa lo Stato-Nazione ebraico in cui solo il popolo ebreo è sovrano. Per gli altri, i Palestinesi, non è prevista alcuna dimensione politica; la legge liquida la causa palestinese e prelude all’annessione di tutti i territori, alla rivendicazione di tutta la Terra promessa, alla distruzione delle proprietà palestinesi, alla promozione intensiva delle colonie fino a privare di risorse tutta la popolazione che lì è composta, per più della metà, da bambini e adolescenti.
Si tratterebbe quindi di proporre trattative intorno alla questione dello Stato ebraico e della sua possibilità di convivenza coi palestinesi e
fare una proposta non più di due popoli in due Stati, durata decenni e fallita anche quando la comunità internazionale faceva finta di crederci, ma capace invece di fantasia giuridica e politica che c’è sempre stata nella storia.
…
L’inventiva del diritto e della politica (e perfino della fede) può produrre due ordinamenti dentro una sola pace o, se si vuole, una “sovranità differenziata”, pattizia, concordataria o come altro potrà essere: ma o si stermina uno dei due popoli oppure la loro coesistenza, prodromo di una convivenza umanamente plausibile, è necessaria a essere pensata e sperimentata.
Si tratta di provare a mettere in atto la trasformazione dello stato ebraico in una vera democrazia (quante insistenze, all’indomani del 7 ottobre, sulla “democrazia israeliana”!) del Medio Oriente, per la convivenza di ambedue i popoli con le loro religioni e le loro tradizioni.
Intanto la strada possibile è quella indicata da Primo Levi in un ‘intervista a Gad Lerner del 1984, quella cioè di distinguere lo Stato d’Israele dall’ebraismo della Diaspora e porre in questo l’epifania dell’identità ebraica.
Dice Levi: “Sta a noi Ebrei della Diaspora ricordare ai nostri amici israeliani che essere ebrei vuol dire un’altra cosa. Custodire gelosamente il filone ebraico della tolleranza”.
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