La Resistenza e la Liberazione, quali manifestazioni di un civismo ideale ed eroico, hanno trovato nei poeti e negli artisti i loro interpreti più incisivi. Come sintonizzati con il sentimento popolare, molti di loro hanno percepito in questi eventi il risveglio di energie potenzialmente rivolte al rinnovamento della società italiana. Seguendo alcune linee dominanti dello spirito della Resistenza, hanno spesso saputo mettere in questione la realtà, demistificare le costruzioni ideologiche, testimoniare l’assurdità di certa politica, denunciare le ingiustizie e gli attentati alla libertà. Alla luce di quei valori ideali della Resistenza e della Liberazione, sono usciti dagli schemi tradizionali dell’individuo-creatore, confinato nella propria sfera individuale, per immergersi nel mare della storia e degli eventi sociali. Tutto questo – se parliamo di artisti autentici – mantenendo vivo e senza compromessi lo stile personale, l’originalità della propria poetica. Così l’uomo sociale, il cittadino, si fonde con l’artista in una simbiosi intensa e profonda. Un esempio eclatante di tutto ciò è l’opera Passatopresente di Luigi Poiaghi (Corsico, Milano, 1947 – Rimini, 2017) espressione di un’equivalenza tra vita e lavoro artistico, mantenuta lungo tutto il suo percorso sul filo di una ricerca rigorosa e meditativa, silenziosa e lontana da mode effimere, conformismi ed opportunismi, volgarità e banalità mediatiche. Una ricerca in cui la distinzione astratto/figurativo perde senso, perché l’astrazione in Poiaghi è rimeditazione, essenzializzazione, rarefazione della “figura”, frutto di un distillamento concettuale sempre più raffinato, ma mai scisso dal senso della materia e della luce, della bellezza.

La figurazione, del resto, riemerge nella plasticità delicata e misteriosa di certi incantevoli lavori fotografici dei suoi ultimi anni, dove capita che spazi vuoti, scorci di muri spogli, nicchie, ombre, stracci, ci appaiano come traccia, orma, fantasma di un’assenza. Sono parenti stretti, questi vuoti, di quelle orme di piedi umani che apparivano (dobbiamo purtroppo usare il verbo al passato) sulla superficie della grande piattaforma in cemento nella scultura-installazione ambientale PassatoPresente, e che una delle foto raccolte sotto il titolo Ombre richiama direttamente.
La presenza si dissolve e si rivela come pura assenza. E l’assenza non è il contrario della presenza, così come l’ombra non è il contrario della luce, ma evoca la presenza nella forma della traccia, dell’ombra-orma. Così quelle impronte, alludendo alla perdita irreversibile dell’oggetto, ne commemorano, simultaneamente, la presenza. L’opera di Poiaghi sembra partire direttamente dalla constatazione che l’arte non canta nostalgicamente una realtà perduta, ma è il miracolo del ciò-che-resta, trasformandosi così in una sorta di icona dell’assenza. E dunque, come si può scolpire l’assenza?        

Nel 1978 Luigi Poiaghi aveva vinto un concorso nazionale indetto dal Comune di Bellaria-Igea Marina (sulla costa romagnola appena più a nord di Rimini) per un Monumento ai Caduti della Resistenza. Aveva impostato l’opera su un registro duro, spigoloso, refrattario, come la vicenda storica che lo aveva ispirato. Cemento, ferro, pietra, i materiali che aveva scelto per dargli corpo, dando indubbiamente voce anche agli echi più minimalisti e concettuali delle avanguardie con cui era entrato strettamente in contatto nella sua città, Milano. Un’opera di dimensioni maestose, in cui qualsiasi distinzione tra figurazione e astrazione, come sempre nell’arte di Poiaghi, perde senso. “Avrei forse dovuto usare marmi levigati e bronzi dorati? Per esprimere i valori della Resistenza avrei dovuto fare le belle statuine? Non sarei mai riuscito a dire ciò che, invece, con forza, naturalezza e modernità, l’opera esprimeva attraverso la scabra semplicità dei suoi materiali”. Così l’autore spiegava il senso della sua opera – intitolata Passatopresente – in un’intervista del 23 aprile 2014.
Ecco le motivazioni che avevano indotto la Giuria – presieduta dalla storica dell’arte Jadranka Bentini, soprintendente per i Beni Artistici e Storici della Regione Emilia-Romagna – a scegliere il progetto dell’artista milanese:  
“L’idea di un vasto piano di cemento che porterà perennemente impresse nella sua materia (come nella memoria e nella storia) le sagome di orme umane, quali tracce di un tormentato, ma inarrestabile cammino verso la Libertà; sembra quanto mai appropriata al tema. Sul piano è collocata, in un inquietante ingrandimento, la forma metallica di una gabbietta per uccelli da richiamo che comprime all’interno la sconvolgente forza di una cascata di pietrame. La contrapposizione di questi elementi così compatti nella forma, ma così lontani semanticamente, fa scaturire subito e con efficacia la loro impossibile convivenza (…) Ed è proprio il silenzio di questa tensione conflittuale, la scissione violenta tra il dentro e il fuori, il presagio dell’avvenimento liberatorio latente che ci restituiscono vivi e intatti, nella coscienza, valori di Libertà.”

Una grande gabbia d’acciaio, dunque, e l’energia terribilmente compressa delle pietre estratte dal greto del fiume Marecchia. Nessuna figura umana, ma solo in apparenza, perché in quelle orme-ombre l’immagine di chi le ha lasciate è resa ancor più evidente e toccante dal fatto che è presente in quanto assenza. Nulla di più lontano dalla retorica dell’illustrazione. Le forme primarie del mondo parlano da sole, con forza. Come abbiamo visto anche in artisti come Morandi, Burri, o Kounellis, l’opera-oggetto non ha semplicemente il valore semantico di un simbolo, di qualcosa, cioè, che rinvia a un significato latente. Quando il simbolo è predominante, è come se l’opera si sdoppiasse, e la sua presenza fosse giustificata solo dal contenuto a cui essa rinvia. Il significato sotteso al simbolo finisce così con il prevalere sull’immagine, che fatalmente acquista un tono ideologico-persuasivo. Al contrario, l’arte di Poiaghi, pur carica di significati simbolici, rivendica il valore totalmente immanente dell’opera, la sua potenza visiva e tattile, ed è aliena ad ogni retorica narrativa. Così, Passatopresente, come ogni opera d’arte autentica, porta racchiuso in sé il senso di una tragica melanconia, di una perdita, di un’assenza, e si nutre – e ci nutre – di questo sentimento. Porta dentro di sé tutta la forza emozionale, tutto il pathos, tutte le sofferte esperienze dell’autore, che vanno a congiungersi per naturale empatia con quelle di un popolo. Il suo, il nostro. Eppure, la tragica assenza testimoniata da quelle orme è anche presenza: è ciò che resta, ciò che il tempo non può cancellare, e dunque continua a manifestarsi e a vivere.

C’è anche una scritta celebrativa, sul basamento della scultura monumentale: “PARLIAMO DI UOMINI, E IN QUESTO SENSO PARLIAMO DI EROI”.
Eppure, l’evento dell’opera va ben oltre quello delle parole: una radicale eterogeneità separa l’immagine-corpo dell’opera dall’universo del linguaggio e del senso comune. Le parole incise restano, per così dire, indietro, in ritardo rispetto all’immagine, non possono abbracciarne l’eccedenza iconica, le vibrazioni emozionali. In questo senso, l’opera custodisce un mistero, un segreto, che per essere, almeno in parte, svelato, richiede il silenzio, la meditazione. Le assenze-presenze che la abitano ci parlano sussurrando, come oracoli delfici. L’immagine che Luigi Poiaghi crea in Passatopresente, come ogni opera d’arte autentica, è sacra in quanto è un’apertura sul mistero insondabile dell’uomo e dell’universo. Ricordiamo che, in origine, il termine latino sacer, sacro, significa separato, e che quindi in-tangibile, nel senso sia di inafferrabile, inattingibile, sia di intoccabile. Ma questa immagine è sacra anche perché custodisce un sacrificio.
Un altro grande tema di quest’opera di Poiaghi – e della sua poetica in genere – è quello della memoria e del suo rapporto con il tempo. La memoria non significa passato ma pensiero, dunque è “presente, e viva”, per usare parole di Giacomo Leopardi. Mettere a contatto forme e materiali contrastanti, come nel caso di Passatopresente, è anche far incontrare un tempo con un altro tempo, creare dei cortocircuiti che facciano sì che la memoria non sia solo un deposito di tracce inerti. Secondo Jacques Lacan il tempo si costituisce retroattivamente, solo in prospettiva dell’apertura in avanti dell’esistenza. Dunque il passato stesso acquista il suo senso solo dal modo in cui viene ri-significato nel presente. Poiaghi sembra cogliere tutto ciò con grande acutezza e sensibilità. Per questo le immagini che scaturiscono da Passatopresente sono indelebili ma aperte al processo di ri-significazione, quindi non esauriscono mai il loro potenziale evocativo, il loro potere di ri-sonanza.Queste immagini non salvano dall’erosione del tempo, ma ne diventano diretti testimoni, e in testimoni di ciò trasformano noi stessi, che guardiamo. Queste immagini, sono segno del tempo. Quindi, in un certo senso, più i materiali di cui sono fatte si consumano e si erodono, più si potenzia la loro efficacia espressiva. L’immagine è relitto lasciato dal naufragio del reale nel tempo, è frammento che appare ormai indistruttibile, soprattutto perché impossibile da dimenticare. Residuo del tempo che non si lascia annientare, e che per questo assume la dignità dell’assoluto.
Eppure l’opera Passatopresente è stata rimossa nell’aprile 2014 per decisione della Giunta comunale in carica a Bellaria in quegli anni. La motivazione ufficiale era il degrado, ma avrebbe semplicemente avuto bisogno – come qualsiasi scultura o installazione esposta agli agenti atmosferici – di qualche intervento di manutenzione e restauro.

Come si presentava Passatopresente nel marzo 2014, poco prima della rimozione.

Nel maggio 2014, l’artista e storico dell’arte Massimo Pulini scriveva: “quell’opera è stata distrutta e con essa si è cancellata una preziosa distillazione del pensiero, che risultava rara nel nostro paesaggio urbano, così privo di elementi artistici. Invece di riforestare di bellezza e di senso i luoghi pubblici, si è preferito sradicare una pianta del ricordo”.
A sua volta uno dei maggiori critici d’arte italiani, Renato Barilli, che aveva saputo apprezzare il valore di Passatopresente, qualche anno dopo ne deprecava la distruzione in un suo scritto: “è davvero deprecabile che un’opera così giusta ed efficace sia stata distrutta, recando una grave offesa non solo al civismo, ma anche all’arte stessa. Quello che era efficace nel progetto del Poiaghi, era proprio la spinta a superare un’idea limitata e retorica del monumento rievocativo, concependolo come un’occasione per dar luogo a un intervento espanso, di respiro ambientale. (…) rinuncia alla retorica delle immagini, magari modellate in pose eroiche.” (Bologna, 10 settembre 2018).
Proprio quest’anno ricorre il decennale di questo evento assurdo, che ci appare come grave vulnus inferto, oltre che all’artista, e alla memoria dei Caduti, alla Storia, all’Arte e alla Cultura in toto. Una di quella ferite che, una volta aperte, sono difficili da guarire e restano  a testimoniare come tante amministrazioni della cosa pubblica non abbiano evidentemente chiaro che la cultura e l’arte sono il bene più prezioso del nostro paese – ciò che meglio ne esprime l’essenza – e ritengano che possano essere calpestate per  noncuranza o per prese di posizione ideologiche, di qualsivoglia colore politico. Di quest’opera – come dei Caduti che ricordava – resta il Presente del suo Passato, la sua memoria, instancabilmente coltivata dal custode devoto e appassionato dell’eredità artistica di Luigi Poiaghi, Girolamo Geri, e dal Presidente dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Bellaria, Stefano Balestri. Restano anche le parole che le dedica il suo autore, avvolte da un alone di poesia, come tutte le parole di Poiaghi:
Della mia opera rimane l’inebriante dolcezza, la risonanza feconda della sua assenza. Professionista? Non ho mai amato questa parola, come non amo ad esempio: competizione, mercato, lusso, soldi, ecc. …. perfino la parola bellezza pronunciata da certe bocche.
Non riesco più a scindere in me l’uomo dal cosiddetto artista. Penso, comunque, che questa vicenda abbia portato uomo e artista ad operare ancora più consapevoli e uniti. Sì, proprio come quei sassi. Ora, dice un amico, sono uno di loro.” (aprile 2014)

Nota biografica

Luigi Poiaghi, nasce a Corsico (Milano) nel 1947. La sua formazione si situa in un ambito vocato all’arte già a partire dal contesto familiare. La frequenza dell’Accademia di Brera lo colloca, giovanissimo, nel cuore delle vicende artistiche di una Milano carica di esperienze figurative centrali nell’Italia degli anni settanta. A Milano vive ed opera fino al 1978, esponendo il suo lavoro in numerose gallerie pubbliche e private. In particolare la collaborazione con lo Studio Gastaldelli, la Eros galleria, la Galleria De Marco gli consentono di accostare il proprio lavoro a quello dei grandi artisti del momento, di conoscere lo scultore Fausto Melotti e di frequentarne lo studio.
Nel 1978, a seguito di un concorso nazionale, è a Bellaria (RN) per la realizzazione di Passatopresente, una scultura monumentale dedicata ai caduti della Resistenza. Da allora le sue frequentazioni in Romagna si intensificano, e nel 1981 si trasferisce definitivamente a Verucchio, in Valmarecchia. Anche se la vita di provincia induce Poiaghi a riflessioni più intime, i rapporti si mantengono numerosi. Infatti nel 1988 espone a Firenze a Palazzo Strozzi e successivamente a Tokyo e New York, e negli anni successivi partecipa a numerosi progetti espositivi, in musei e gallerie. Nel 1991 inizia un’intensa collaborazione col poeta e sceneggiatore Tonino Guerra. Dopo aver vinto nel 2005 un concorso bandito dalla Repubblica di San Marino, nel 2011 realizza, davanti all’Ospedale di Stato, Come un volo di colombe, gruppo scultoreo di grandi dimensioni, ispirato ai valori della solidarietà, della pace e della libertà.
Negli ultimi anni la fotografia ha assunto un ruolo importante nella sua ricerca: il suo libro fotografico Ritratto per assenza vince il concorso Face Photo News di Sassoferrato. Nel 2013 espone presso i Musei Comunali di Rimini – dove nel 2010 aveva già tenuto un’importante personale – una personale di opere fotografiche. Nel 2015 il suo progetto Ombre è fra i dieci finalisti di Visibile White (Premio Celeste per la fotografia) esposti presso lo Studio Marangoni di Firenze. Luigi Poiaghi si è spento a Rimini nel 2017. 

  1. Avatar Girolamo Geri
    Girolamo Geri

    Preg.ma Prof.ssa Silvia Pegoraro,
    grazie per il bellissimo testo su PASSATOPRESENTE dedicato alla Resistenza voluto nel 1978 dall’allora giunta comunale con sindaco Piero Baldassarri di Bellaria-Igea Marina e realizzato nel marzo del 1979 davanti al municipio appena costruito: l’opera di Luigi Poiaghi più amata e più sofferta. Leggendo “La memoria e il sacro – Storia dell’opera PASSATOPRESENTE” di Luigi Poiaghi ho ritrovato quella sospensione e avvertito quel nitore che provo quando mi capita di sostare davanti alle opere del maestro, soprattutto quelle costituite da teli bianchi, imbottiti, trapuntati o ricamati. Non c’è retorica come nelle opere dell’artista che Lei, appare evidente, stima molto. Ma il testo scorre limpido senza contorti raggiri critici che dissuadono l’attenzione e per giunta delicati rimproveri, ma efficaci per chi ha usato inaudita violenza contro un’opera di tanto valore.
    (G. Geri Verucchio 25 aprile 2024)

  2. Avatar Rita Giannini
    Rita Giannini

    Complimenti. Articolo ottimo e necessario per denunciare chi distrugge le opere d’arte in nome di una ideologia.
    Grazie da parte di una cara amica dell’artista Luigi Poiaghi, e io faccio il possibile perchè non venga dimenticato nè lui nè la sua opera.

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