Kate Chopin, “Racconti, con saggio e traduzione di Anna Maria Farabbi”, edito da Pièdimosca e Alt3vie, 2022, è un libro che offre, come poche altre volte capita, la possibilità di conoscere un’autrice pressoché sconosciuta in Italia e un mondo, storico e letterario, i cui echi, negativi e positivi, risuonano dentro le configurazioni contemporanee dei nodi universali che tengono le trame dei destini individuali e collettivi. La voce di Kate Chopin, già avvertita come urticante e destabilizzante del rigido ordine sociale della sua epoca, fu oggetto di apprezzamenti e riconoscimenti, pochi e non nella misura che avrebbe meritato e, soprattutto, di chiusure e svalutazioni dovute non alla qualità letteraria ma alla lettura politica dei suoi lavori e alla valenza sovvertitrice della sua letteratura. In apertura del libro, Anna Maria Farabbi, sottolinea il dovere civile di far conoscere personalità che, con autenticità , spirito critico e coraggio, hanno aperto nuove strade, rivendicando la sua lunga opera di studiosa volta a restituire residenza culturale dentro la nostra storia, alle tante donne che hanno dovuto subire, in aggiunta alle tante discriminazioni, la cancellazione o la svalutazione delle loro opere. Muovendo da questa posizione, che è anche, un manifesto di azione culturale, Anna Maria Farabbi offre al fortunato lettore italiano una straordinaria possibilità , non solo di riparare ad un grave torto, come solo la lettura e la conoscenza che ne deriva possono fare, ma anche di conoscere una scrittrice di assoluto valore nelle cui pagine si possono trovare fremiti, inquietudini e ustionanti palpiti di vita, che concorrono a disvelare le verità più profonde e universali che tengono insieme, come solo la letteratura può fare, vita e rappresentazione della vita. Il mondo di Kate Chopin è quello della Louisiana del Sud del secondo Ottocento, reso con grande efficacia e, spesso con pochi tratti, segnato dalle piantagioni di cotone, dalla presenza di un gran numero di schiavi, da proprietari, bianchi e creoli, dalle città di Saint Louis e New Orleans, da capanne isolate, piccoli villaggi, dal paesaggio, straordinario e a volte feroce, dalla luce e dalla polvere, dal bayou e, soprattutto, dalle acque, dei fiumi e del mare.
Terre e acque su cui la Guerra Civile fra Nord e Sud inciderĂ nuove e profonde ferite. Kate Chopin rende le atmosfere quotidiane di questo mondo, a cominciare dal microcosmo delle piantagioni, da alcuni luoghi simbolo, come il loggiato e la coppia, antinomica, ma non del tutto, del villaggio-bosco, in cui lo svolgersi della vita è tenuto dal filo di piccoli accadimenti e dal verificarsi di increspature, apparentemente minime, che però operano un ribaltamento della situazione, facendo emergere nuove veritĂ e nuove, fino ad allora, sconosciute esigenze e urgenze. Un mondo segnato da un rigido ordine sociale, ben espresso nelle figure che poi diventeranno un modello stereotipato, del piantatore bianco, dello schiavo nero e del bianco povero. RigiditĂ sociale, rigiditĂ dei ruoli e degli ambiti, permessi e proibiti, all’uomo e alla donna: tutto si tiene, potremmo dire. Non a caso Anna Maria Farabbi definisce il sistema narrativo di Kate Chopin come un insieme di cellule le cui interazioni, riuscite o mancate, danno spessore, colore e identitĂ alla struttura. In questo senso è emblematico il racconto Emancipation. A life Fable, in cui si narra di un animale in gabbia fin dalla nascita. Ma a ben vedere, come sottolinea la curatrice e traduttrice del volume, ogni ordine sociale è un insieme di ambiti definiti, strutturati e limitati: gabbie, appunto, le cui sbarre sono incessantemente allargate, o ristrette, dal dispiegarsi e realizzarsi dei profili sociali, dei diritti e delle responsabilitĂ , che scandiscono il farsi della storia. In questo senso la famiglia, nella Louisiana di Kate Chopin come nell’Italia dei giorni nostri, è uno degli snodi piĂą complessi e rappresentativi delle diverse idee di societĂ e dei relativi ruoli. maschili e femminili. che innervano culture e comunitĂ . E, per uno di quegli straordinari flussi che la letteratura genera, leggere oggi i racconti di Kate Chopin può aiutare a capire qualcosa in piĂą dei nodi del nostro presente. Nei paesaggi naturali – e qui occorre sottolineare l’illuminante lettura di Farabbi sul ruolo delle tre grandi nature: vegetale, minerale e animale – e in quelli umani che costituiscono l’inscindibile intreccio del mondo letterario di Kate Chopin, i pregiudizi, il razzismo, l’omologazione e l’incomunicabilitĂ , segnano confini a volte molto evidenti, a volte invisibili ma non per questo meno concreti. In questo contesto si muovono le figure femminili di Kate Chopin che cercano di trovare il bandolo della matassa della loro vita tra contraddizioni, slanci, rinunce, oppressione e liberazione.
Dolore, solitudine, consapevolezza, gioia, realizzazione dei propri progetti, perdita, rinascita sono alcune delle piĂą importanti costellazioni di sentimenti e di esperienza dei sentimenti che le donne dei racconti di Kate Chopin, a volte per scelta a volte per costrizione o necessitĂ , dovranno esplorare. Il centro di queste costellazioni è costituito dal tema dell’identitĂ che, a sua volta, rimanda a quello del corpo. Solo questa notazione meriterebbe una lunga analisi e altrettanto lunga e meditata discussione, anche per capire perchĂ© – e questo riguarda tutti e tutte – la storia delle donne è, soprattutto, la storia del corpo delle donne. E se oggi sappiamo che il corpo è, innanzitutto, una costruzione culturale e politica, lo dobbiamo, e non è affatto poco, alle lotte delle donne e al pensiero femminista. Una figura fra tutte, quella di Suzima, nel racconto Una vocazione e una voce, incarna la figura della donna pienamente libera e liberata, ma tutte, al di lĂ dei ruoli e delle vicende, concorrono a dar corpo – e qui la parola corpo non è affatto casuale -, a una idea di umanitĂ che mette in discussione proprio il sistema di oppressione maschile e i suoi codici, giuridici, sociali e culturali. Questa ribellione, a volte silenziosa e volte rivendicata, non è sfuggita affatto ai solerti custodi di quell’ordine e la perfetta comprensione delle valenze liberatrici della sua scrittura ne ha decretato l’ostracismo. Facendo una sintesi estrema, tralasciando le tante metafore potenti e stringenti, come quelle della cecitĂ e del sonno/sogno/visioni che, come annota Anna Maria Farabbi, costituiscono dei “buchi neri” in cui la coscienza sprofonda nella palude dell’inconscio, direi che ci sono due parole chiave nella letteratura di Kate Chopin che ne illuminano i nessi e che parlano, con voce forte e, di nuovo, urticante ai nostri giorni e a noi tutti: attraversamento e sonnambulismo. L’attraversamento è un cammino di scoperta, di conquista, di passaggio da uno stato, da un luogo, da una condizione verso nuove posizioni. Questo moto, prima di tutto e innanzitutto interiore, è uno degli elementi connotativi della sua scrittura e della sua narrativa. Il sonnambulismo è lo stato di parziale incoscienza/inconsapevolezza che tiene intorpidite le coscienze e che può preludere al risveglio di sĂ© e della propria consapevolezza. Ma, anche questo passaggio, è un attraversamento. E noi oggi, non dobbiamo fare i conti con i nostri attraversamenti quotidiani, fra guadi piccoli e grandi e scegliere, innanzitutto, se vogliamo davvero farlo, se vogliamo lasciare la quiete, a volte ossificata, di posizioni conosciute per rischiare un nostro, magari piccolo, cambiamento? E quante coscienze intorpidite, prede di sopori e rese nemmeno rivelate a sĂ© stessi, vediamo accasciate inerte ai lati delle scelte non fatte e delle dichiarazioni taciute? Non c’è, oggi, ora, un bisogno enorme, urgente di uscire dal silenzio del sonnambulismo per arrivare al risveglio della propria parola, premessa per la scelta della propria posizione? Se queste sono domande fondate e le risposte da cercare sono avvertite come delle vere emergenze culturali e esistenziali, allora possiamo cercare nelle pagine di Kate Chopin le ragioni per cui esse parlano a noi e di noi e comprendere la portata e il dono del libro, curato con attenzione e sapienza, e dato alle stampe come atto di ribellione civile e culturale da Anna Maria Farabbi.
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