Campi d’ostinato amore è sicuramente uno dei libri più importanti e complessi di Umberto Piersanti, una sorta di sintesi e di sistematizzazione dei suoi temi e della sua ricerca poetica. Nella prima sezione, Il passato è una terra remota, troviamo una delle tematiche che hanno concorso a definire la sua cifra e la sua voce: quella della memoria. Vicinanza e lontananza, passato e presente, sono i poli la cui dinamica tesse incessantemente la tela che avvolge e svolge l’andare della vita. Il tempo dell’infanzia è quello in cui la storia piccola delle biografie personali si intreccia con la grande Storia, con gli sconvolgimenti degli anni della guerra ma, qui, il poeta ci propone un diverso calendario di accadimenti, quello di un bambino di tre anni, per cui il fatidico 8 settembre 1943 è essere fuori dalla Storia/nell’abbraccio del padre/ solo e felice. Sono anni in cui le divise dei soldati spuntano come fiori senza stagioni, che rompono il disegno di luoghi familiari e che, con gentilezza, regalano cioccolato, in un tempo in cui gentile aggettivo/così fragile/e incerto trova a sorpresa spazio tra i gesti di una quotidianità presa in ostaggio dalla paura e segnata dalla violenza e dagli eccidi. Sono anni, questi, della casa nel fosso e dell’età che s’inoltra e in cui la presenza delle sorelle e del padre dal volto magro che cammina lento/ lento e sicuro e della madre gentile/dal volto chiaro mentre l’acqua del fosso scorre/sempre diversa/ porta lontano i volti/ e non sai dove scolpiscono i profili del tempo e, al tempo della memoria, restituiscono nuova vita nella terra del ricordo. Non c’è nella poesia di Umberto Piersanti, conviene ribadirlo, nessuna retorica del bel tempo andato o di nostalgie che imbozzolano e deformano il passato. Credo che l’importanza e la novità di questa poesia sia nella consapevolezza, e nella rivelazione, che la memoria è la sola forma d’eternità che ci è concessa. Fragile e preziosa, necessaria e difficile ma, appunto per questo, fondamento non solo di una poetica, ed è già tanto e tanto importante, quanto pietra angolare di una visione storica e letteraria di umanità. Vorrei sottolineare ancora due elementi che, credo, abbiano un valore generale nella poesia di Piersanti. Il primo è la presenza delle sorelle e dei genitori che, come un fiume carsico, attraversa tutte le pagine di questo libro: a volte fili sottili, spessi e marcati in altre occasioni, ma parti fondanti della sua poetica. L’altro elemento è la ricorrenza, in moltissime poesie, del termine cerchia. Per fare due soli esempi, nella poesia 25 dicembre 1942, Le sorelle/accovacciate/ cerchiano d’argento/ i mandarini o ancora, nella poesia Febbraio 1941, i corvi neri/scendono alle torri/che il bianco cerchia. Forse la memoria, come la storia e l’andare delle nostre vite, ha bisogno di segni che definiscano, delimitino, cerchino appunto, luoghi, volti, episodi, emozioni. Questa geografia di segni, di cerchi, è la base di ogni ulteriore cartografia interiore, come ogni confine è una domanda.
La seconda sezione, forse il centro del libro, dedicata al figlio Jacopo, affetto da una grave forma di autismo, si apre con la poesia che dà il titolo al libro, ed è da quel canto d’amore ostinato che nascono versi come ma il tuo male/figlio delicato/quel pianto che non sai/se riso, stridulo/che la gola t’afferra/più d’ogni artiglio/questa bella famiglia/ d’erbe e animali/fa cupa/ e senza senso/ e dolorosa. In questo contrasto fra il tempo dei crochi e dei greppi e quello del sortilegio/ che il tuo tempo assedia/ e ossessiona si apre lo spazio per un dialogo, anch’esso ostinato, alla ricerca di un varco possibile che apra crepe nel duro cerchio del dolore, superando il dato puramente personale e privato, per approdare a versi capaci di dare la parola, come solo la poesia può fare, alla sofferenza cinta dal filo spinato dell’incomunicabilità. Anche qui Umberto Piersanti, con versi scevri da ogni retorica o sentimentalismo, raggiunge punte altissime dando a quella svolta improvvisa/che non t’aspetti/la tragica bellezza/che i tuoi giorni inchioda/al suo percorso la forza della poesia che sola sostiene quei cori che vanno eterni/tra le terra e il cielo.
La sezione Nella selva separata, èaperta da una poesia il cui titolo, Altrove, è una chiara indicazione di un luogo diverso, separato appunto, da ricongiungere e con cui ricongiungersi, in cui l’acqua del fosso odora di verde e il bosco sconfina/nella selva immensa/ del Remoto. Siamo nel luogo proprio di Umberto Piersanti, dove le sue Cesane sconfinano con le Galassie, un microcosmo che dialoga e accoglie un suo, diverso, universo. Le Cesane sono le colline a forma d’altipiano che raggiungono un’altitudine di 700 metri, tra Urbino e Fossombrone; il luogo dove tutto ebbe inizio e a cui tutto torna, dove il bisnonno Madìo gli raccontava le storie di spiriti e folletti come lo “sprovinglo”; lo spazio dove è cresciuto tra rade case/ giù per greppi e fossi/ e radi lumi/dentro l’aria scura. Questa è la sua patria poetica, il centro di un mondo che da particolare diventa universale, un nuovo mondo offerto alla scoperta dei lettori e descritto, cesellato direi, con la maestria di antichi artigiani. Fiori, in particolare il favagello a cui il Poeta ha legato il suo nome, piante, arbusti nascono con la parola che offre loro una nuova residenza nella poesia. Non a caso Umberto Piersanti è stato definito, e a buona ragione, da Alessandro Moscè “il maggior poeta di natura che ci sia in Italia” Ma, come abbiamo già osservato per le poesie della prima sezione, anche in queste pagine non vi è alcun idillio bucolico o la rappresentazione di un mondo naturale e armonico contrapposto alle disarmonie del mondo moderno. Siamo lontani sia da Pasolini sia dal neorealismo; qui ci sono – nel modo originale con cui ci viene proposto- bellezza e dolore, fatica e solitudine, lotta per la vita, conoscenza e rispetto per quell’ordine segreto che tiene insieme natura, animali e umani. Per dirla con le parole che ha usato Umberto Piersanti, il ricordo del mondo contadino, dei suoi valori e dei suoi versanti, d’ombra e di luce, avviene attraverso la trasformazione memoriale. Come dice Roberto, alter ego dell’Autore e protagonista del suo primo romanzo, L’uomo delle Cesane, ‹‹una volta passati sogni e ricordi sono la stessa cosa››. Lo stesso filo, teso tra natura e memoria, tiene anche le poesie delle sezioni Vicende e L’età breve, in cui questo dialogo si arricchisce di una dimensione epica – come ha rilevato Paolo Lagazzi – che slarga, per così dire, lo sguardo del poeta. Se per un verso, ora, gli echi e le visioni dei greppi rimandano l’infinito distante/ di quei giorni e, se è vero, che per ogni generazione/c’è un’età immortale è altrettanto vero che bisogna pur scendere i dirupi del presente e chiedersi quale millennio scorre/per le strade, nei caffè della sera/ e se attorno ai tavoli di eterni aperitivi ci sia spazio per la domanda, posta già da Bertolt Brecht, nella poesia A coloro che verranno, scritta nel 1939, in tempi di orrori e giorni bruciati: anche questo è tempo/dove parlare d’alberi/appare un delitto/perché su troppe stragi comporta il silenzio? Sebbene il tempo trascorso tra selve odorose abbia scandito una diversa era, queste domande rimangono lì, a presidiare un’ineludibile cruna d’ago, un passaggio necessario per non rassegnarsi a vivere da forestiero il presente.
Nella sezione che chiude il libro Primavera bugiarda (Nei mesi del Covid), composta da tre poesie, Primavera bugiarda, Primavera triste, Una strana primavera Umberto Piersanti affronta il tema della pandemia, dimostrando che la poesia può confrontarsi con un tema di stringente attualità, non solo senza mai cadere nella cronaca ma, anzi, creando una nuova dimensione in cui il presente, quel terribile presente, assume i caratteri di una versione della condizione umana, trasformando il contingente in universale. L’erompere del ritorno – nuovo ogni volta – del ciclo delle stagioni, porta una primavera bugiarda/che gli umani serra/dentro sbarrate porte/e di veleni insozza/persone, erbe e oggetti e il male di vivere non lo incontri/solo in quel che cede/e si dissolve/ma nel fiore che s’alza dalla terra/nell’albero che s’apre/ a nuove foglie. Il confronto, anzi una sorta di sofferto dialogo, tra il mondo della natura e quello degli umani trova versi limpidi, potenti, scevri da ogni retorica. La sinfonia dei colori e delle voci del mondo vegetale fa da contrappunto alle finestre chiuse delle case e al silenzio di un tempo che ti rapina/ i giorni e l’ore/. Ma questo dialogo non si risolve in nuove chiusure o nella resa all’impotenza del dolore, perché da dietro le finestre/ e stretti ai muri/ del sortilegio/s’attende la fine,/guardare un’erba/o un fiore/senza il male nascosto/dentro i colori.
Un’ultima notazione relativa alla lingua: Piersanti, fra le altre cose, si è distinto per l’uso dell’endecasillabo in maniera originale e personalissima, reiventando una modalità linguistica che esprime al massimo grado il suo sentire. Lontano da ogni forma di sperimentalismo, la sua parola, libera da ogni formalismo, dispiega tutta la sua forza evocativa e generatrice.
Campi d’ostinato amore, è un libro in cui risuona forte il timbro inconfondibile dell’Autore e in cui, in ogni pagina, vive la forza dell’autenticità della sua poesia.
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