È stato un luglio che ha segnato la violazione di un altro dei limiti da non oltrepassare per mantenere la vita come la conosciamo sulla terra. E il 31, al limite del limite, si è spenta ad un silenzio irrevocabile una delle voci più originali della poesia apparsa sui dirupi della faglia tra secondo e terzo millennio. “Macerie” li nomina Massimo Onofri nella bella Introduzione al volume che nel 2011 raccoglieva tutte le poesie scritte fino al 2009 da Anna Cascella Luciani. In queste ‘macerie’, dice, è stata costretta ad “aggirarsi” la poetessa, “che, invece, sembrava nata per cantare l’amore e per confrontarsi con quelle pagane divinità”; a cui, comunque, non è venuta meno con la sua poesia, non facendo del mito una astrazione, quanto una drammatica misura di approssimazione alla realtà. Realtà del mondo e realtà personale, realtà della sua “difficile biografia”. Non a caso Marco Corsi la definisce “mitobiografica”. Dice ancora Marco Corsi nella prefazione al volume collettaneo di riflessioni critiche sul lavoro poetico di Cascella Luciani, da lui curato, La luna e le sue forme. Testimonianze critiche per la poesia di Anna Cascella Luciani, edito da Macabor nel 2020: “il mito rappresenta una condizione particolare per il soggetto di stare nella poesia e nella realtà: il lettore non ne percepisce mai una dimensione esornativa, ma è anzi costantemente guidato in un percorso di ‘illuminazione’ che rifugge dalla semplice specularità, da un riflesso puramente simbolico e allegorico. Il mito è un sostrato in cui lievita la feconda matrice del canto, che in essa risiede per espandersi.”.  Della sua poesia, a commento di uno dei  primi testi, Tesoro da nulla, (edito nel 1990 da Scheiwiller nella prestigiosa collana All’insegna del Pesce d’Oro, premiato al concorso di poesia Sandro Penna), Franco Fortini, già a testimoniare l’alta qualità di questa scrittura, diceva: “il giuoco delle rime e degli inciampi e degli allegri suoni, la felicità di breve carne e di ambigua vita, i colori degli oggetti, la fisicità delle stagioni romane e della loro occulta mortalità, tutto un gioco tonale che si vuole leggero e vago ed è invece sofferente o delirante, fanno dei suoi versi una lettura, come poche altre oggi, di dono e, come suol dirsi, grazia da ascoltare senza porre domande”. E nella succitata prefazione, Marco Corsi, trent’anni dopo, chiosa: “una poesia forgiata dall’uso sapiente della ragione e del sentimento, dando espressione alla vitalità del mito, alla gioia della natura, agli affetti famigliari e agli amori, in una trama fitta e inestricabile che, come in ogni buona poesia, mette sempre in relazione l’io più privato del soggetto con la realtà, piccola o grande, che la circonda.”. Una poesia arricchita da una quasi costante ironia, elegante, mai stizzosa, ma pungente e dritta al bersaglio, anche quando al centro pone se stessa. Alla poetessa che apre senza reticenze quanto del mondo e delle sue personali drammatiche vicende la attraversa, l’ironia permette di frapporre tra lei e i pochi sfavillii di gioia, le molte ferite a sangue, una distanza che non li congela in estraneità né in catalogante razionalizzazione posteriore, ma li colora a tinte luminose in un brillìo di consapevolezza esperienziale che la solleva quasi saggia – o meglio: sapiente come una sibilla – oltre il piano personale, senza toglierle l’emozione vitale di una propria irripetibile individualità. Una poesia capace di toccare profondamente la morte, di conviverci, spesso coniugata anche all’amore, senza consolazioni né disperazioni, senza pentimenti né prospettive metafisiche, senza “nessuna alternativa – nemmeno appena immaginata – alla vita che s’è vissuta,” dice Onofri nell’Introduzione citata, “ma un sentimento di totale adesione, di assoluta conciliazione” col proprio vissuto, anche quando Anna, “stremata di vita”,  è gravemente “malata, lontana dagli anni di quella aggraziata e scarmigliata, sensuosissima gioventù”. Così, pure gli ultimi, sono “versi di congedo che sono anche di consenso, tra i più lievi e sereni che ci sia dato in sorte di leggere”. Certamente anche per quella sapiente musicalità che dà alla sua poesia una cifra originalissima e singolare: franta e scorrevole come acqua ruscellante tra sassi.

Va dichiarato che Cascella Luciani non ha avuto molti riconoscimenti, così poco presente nei ‘grandi elenchi’ della ribalta – festival, antologie, interventi.  Anche, sì, per la malattia invalidante, e per un suo a volte ‘ruvido’ modo di porsi, ma io credo soprattutto per la sua estraneità al mercato dei favori reciproci che sembra organizzare i rapporti tra molti poeti di oggi. Come è successo alla grande poetessa Daria Menicanti negli ultimi, solitari anni di esilio in patria. Ma sono tanti, intellettuali, critici, poeti, amici, che Anna Cascella Luciani, l’hanno comunque riconosciuta nella sua grandezza e amata. Amata con la fatica che lei imponeva, forse per bisogno di conferma.

Le donne, spero, le donne soprattutto, chiedo, non permetteranno che si perda la sua poesia. Lei, nostra Maestra.  

Milena Nicolini

Nicoletta Moncalieri, artista modenese che presenteremo con più accuratezza in un prossimo numero, ha collaborato con Anna Cascella Luciani in un’edizione d’arte di Editrice Eidos, 2004, Venezia. Così il critico Franco Vaccari presentava l’opera:

“C’è un teorema di fisica-matematica che afferma che in qualsiasi situazione caotica, per quanto complessa sia, c’è almeno un punto che rimane in quiete. Oggi, in questo nostro mondo, forse globalizzato, ma sicuramente ipercomplesso e vorticoso, la poesia rappresenta uno di questi punti che stanno fermi. Tutte le poesie di Anna Cascella Luciani scelte da Nicoletta Moncalieri sono straordinariamente emblematiche di questa vocazione della poesia a non lasciarsi trascinare nel caos, dove il significato delle parole si disperde. In quelle rare zone di quiete, Nicoletta ha modo di accostarsi, di ascoltare e di sintonizzare i propri segni al ritmo delle parole di Anna.”

Opere di Nicoletta Moncalieri per Anna Cascella Luciani

Ad Anna, tanto amata

Cara Anna,

te ne sei andata in un giorno di questa estate di caldo atroce. C’eravamo conosciute a Pescara, nella casa di tua madre e delle zie che tanto ti amavano, ed eravamo diventate amiche. Ora che sei nella grande pace, parlo con te nelle tue poesie. Nonostante il peso dei grandi dolori che hai dovuto affrontare, la poesia ti ha salvata e ti ha posto in una sfera di luce.

Lisabetta Serra

Anna, mi mancherai davvero tanto.

Sapevo che non potevi più continuare a vivere così e invocavi la morte come una liberazione… ne parlavi con dolcezza e nello stesso tempo amavi la tua pur difficile vita. Ti dicevo: continua a scrivere, Anna, donaci ancora qualcosa di te… lo sai fare così bene… Sì, ma… E si abbandonava al tormento del suo male che l’ha segnata per lungo, per troppo tempo. La nostra amicizia, tra alti e bassi, durava da tanti anni. La mia famiglia, soprattutto i nipoti le piacevano, la incuriosivano, e quando erano piccoli, aveva pensieri affettuosi per loro. Condivideva volentieri questi affetti che a lei forse mancavano… Si parlava di tutto con Anna, così profonda, intelligente, estremamente sensibile alla bellezza. Ci scambiavamo piccole immagini, foto, pensieri, lei mi aiutava a capire e io le trasmettevo la mia vitalità, il mio entusiasmo, la voglia di conoscere.

Teresa Righi Riva

Anna Cascella Luciani è nata a Roma il 20 febbraio 1941. Il cognome Luciani, della madre, lo ha aggiunto nella sua firma nel 2002, nel ventennale della sua morte. Mentre scrivo sono passati pochi giorni dalla morte della poeta, avvenuta a Roma, il 31 luglio 2023. Soffriva da lungo tempo di una dolorosa debilitante malattia.

Cominciò con la poesia pubblicando su importanti riviste (Nuovi argomenti, 1977-8; Salvo imprevisti, 1978) e in alcune antologie, tra cui Nuovi Poeti Italiani I, Einaudi, Torino 1980 con la silloge Le voglie. Nel 1990 ha pubblicato con Scheiwiller, All’insegna del Pesce d’Oro, Tesoro da nulla, con la presentazione di Franco Fortini nel risvolto di copertina, che vinse il premio ‘Laura Nobile’ e il premio Mondello-opera prima. Con Piccoli Campi, pubblicato da Stamperia dell’Arancio, Grottammare 1996, con una Nota di Giovanni Giudici, vinse il premio Sandro Penna e il premio Procida, Isola d’Arturo –Elsa Morante.  Nel 2002, per i tipi de Il Bulino, Roma, ha pubblicato I semplici, che hanno ispirato il compositore Enrico Renna a scrivere sette composizioni per flauto solo –Per Anna – eseguite, con Renna al flauto e Anna Cascella Luciani voce recitante, la prima volta nel 2003 a Roma nel cortile del palazzo Medici Clarelli. Nel 2011 ha pubblicato Tutte le poesie (1973-2009), con un’introduzione di Massimo Onofri, Gaffi Editore, Roma, e tutte le sue traduzioni da Emily Dickinson, in Rosso, purpureo, scarlatto, Edizioni L’Obliquo, Brescia. Nel 2016 ha pubblicato Gli amori terreni. 2009-2012, Edizioni L’Obliquo, con una Nota di Marco Corsi e un disegno di copertina di Ettore Spalletti. Nel 2022 per i tipi di Macabor ha pubblicato. Tra spighe di viola pallido 2013-2017, a cura di Marco Corsi. Nello stesso anno esce la plaquette A Lisabetta, raccontando al fuoco, edizioni Via Ozanam, a cura di Giorgio Ghiotti.

Ha scritto anche saggi, tra cui I colori di Gatsby –Lettura di Fitzgerald, Lithos Editore, Roma 1995.

Sono sempre continuate le collaborazioni con riviste e antologie italiane e straniere; tra le più recenti: Contemporary Italian Women Poets, La Piel Desnuda, Poeti.Volti e luoghi, Kamen’, Quaderni (del Fondo Moravia), Smerilliana, Serta, Poeti e Poesia, Poliscritture, Parallelo 42, Pagine.

Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, è stata collaboratrice di Radio 3: con rubriche di poesia, presentazioni  di opere della letteratura inglese e americana, con il radiodramma Bolero; nel 2004 e 2006 ha collaborato con A alta voce, rubrica all’interno di Fahrenheit;  nel 2007, con altre poetesse italiane, è stata interprete del lavoro teatrale di Picasso Il desiderio preso per la coda, messo in scena con la regia di Giorgio Marini presso l’Accademia Reale di Spagna a Roma e trasmesso in diretta.

Ha collaborato con molti artisti: in libri con Ettore Spalletti, in edizioni con Achille Pace e Enrico Pulsoni, in plaquettes per Luna e Gufo di Fabrizio Mugnaini, e per Edizioni dell’Ombra  con Walter Piacesi, Franco Dugo, Simonetta Melani, Gaetano Bevilacqua; per Eidos con Nicoletta Moncalieri; per Alma Charta con André Beuchat, per il Cervo Volante con Tommaso Cascella; per Ogopogo con Cosimo Budetta; per le ‘Copertine’ di Ma.me Webb’ , e i ‘librini’ Ad insulas del 2014 e Pinakes del 2015 con opere di G. Arcidiacono; per i Quaderni di Orfeo, per il PulcinoElefante. Nel 2009, a cura di Fabio Guindani, la Biblioteca Vallicelliana di Roma ha ospitato la mostra delle sue poesie in edizioni d’arte.

Nel 2020 è uscito per i tipi di Macabor, a cura di Marco Corsi, La luna e le sue forme. Testimonianze critiche per la poesia di Anna Cascella Luciani, con un’antologia poetica di editi e inediti.     

Per i suoi 70 anni, nel 2011, undici amici le hanno dedicato un libro d’arte in 50 copie, Rosa acuminata. undici poeti per Anna, con 11 loro poesie e un suo ritratto, le souffle poétique, di André Beuchat, che ha curato anche l’edizione presso Alma Charta.

Nel 2008 ha ricevuto il premio Tarquinia-Cardarelli per la poesia.

Da     tutte le poesie1973-2009  

mamma è una bambina dimagrita
una navetta che all’ultimo
momento è arrivata dicendo
che non è svenuta e poco dopo
se l’è portata il vento: sembra
uno scherzo, sembra letteratura,
e invece è proprio morta, son
sicura, era distesa tranquilla,
al letto tre, chiara, composta,
bianca ma non c’è.

da Siccità in Venaria (1973-1977)

certo
se la luna in oriente
è poggiata per la gobba
sulla terra, delle mille
e una notte è proprio
l’una
che mi tiene dal perdermi
tra mille

in Migrazioni (1977-1982)

ad un artista una sera, a Roma

ma io ci sono stata in quella terra, l’ho varcata
la porta
e non c’è niente, così non posso che risponderti
che niente abita lì

e insisti a dirmi di albe e di tramonti, mi dici
che il tuo amico era sapiente,
e tra l’olimpo e il tempio degli dei
al tavolino di un bar a mezzanotte, vuoi che ti
sveli, anche io, il mio modello del dio, se non
del tempio…

possiamo discorrerne però, fuori del tempio

da ai miei compagni, in Tesoro da nulla(1983-1989)

la vita
è un assassinio
ancora colorato
di carminio
da ai miei compagni, in Tesoro da nulla(1983-1989)

non lo conosco
e non lo conoscerò:
questo è rassicurante –
non lo perderò

da Rosa moscata in Tesoro da nulla(1983-1989)

nel mezzo dei campi risperduta
avanzo – scarpa ardita –
ha tempo d’infierire la piena
voglia di vita

da Rosa moscata in Tesoro da nulla(1983-1989)

non ho tante ragioni
d’esser poi così triste
se non fosse questa
triste tristezza che
m’insiste con peso
così triste che ogni
altra tristezza pare
al confronto impiego
di lieta contentezza…

da Rosa moscata in Tesoro da nulla(1983-1989)

(…)

ora vai con tua madre nel mare.

cefalù, patagonie, arizone,
mar dei Sargassi
o solo due sassi
di pietra promessa
un acro, dove ricominciare la
simbologia, il nevrotico altare.

trovami un buco in pensione
nel mare dove fare vacanza nel
luglio a distanza

una stanzetta in casa dei mostri marini:
vedrai
ora mi alzo e pesco dei miti
trovandone uno ai confini
del bagnasciuga, proprio ai limiti
delle colonne di fuga

Ercole stanco per molta fatica
quella camicia ti sta che è un incanto

brucia, su brucia,
e falla finita.

da Vetrata in Tesoro da nulla(1983-1989)

partendo
non m’ha guardato
non si è girato
neanche – orfeo
certo non era
e io che non sono
euridice – e
al mito non credo
per ovvie ragioni
di tempo e di èra –
son viva e aspetto
la sera che imbruna
più presto in ottobre
e porta in stazione
chi c’era

da Frammenti minuti frammenti in i semplici (1989)

ai troppo sapienti

so benissimo
che esistono i vermi
e il mio corpo sarà
decomposto e i miei versi
non certo gli eterni
avamposti d’amore ma Dio Santo
lasciatemi in pace – voi
in cui tace la misura
d’amore per solo dirci che Voi
voi soli e sole siete
il Dolore, la Tentazione, la
Tomba, il Cadavere e il suo
Fetore – uomini che tutto
sapete! non voglio
convincere né esser convinta
e giacché e comunque “habet
sua castra Cupido” ne soffro
e ne rido e non amo
farne una Scuola – ognuno
ha i suoi propri banchi
e i Maestri hanno sempre
saputo che erano tali
per l’andare e venire e mai
per il solo Salire – anche Dante –
son certa – diceva – “riuscire”

(l’amore a Poesia è cosa
diversa che il Tutto sancire)

da Et habet sua castra Cupido in Esculapio (1989-2001)

voglio tagliarmi
tagliarmi le vene –
no – volevo dire  le unghie
è meglio – conviene

da Luna mutante in Esculapio (1989-2001)

credo mia madre
avesse amato
un padre mio
appena un poco
più giovane
di lei – per questo
fuoco che ho solo
immaginato io amo
quelli della mia
età –
o pochissimo prima
o poco dopo –

da Libro d’ore in Esculapio (1989-2001)

chi sa se pensare
consola (agli asfodeli
al narciso reclino
alle ombre dei cieli
ai campi di papavero
fiorito – al rosso
ingombro leggero
che si muove se il vento
porta il fiore –
agli alberi di leccio
alle ghiande dorate
e cuspidali all’occhio
di corniola senza pari
nell’impetuoso giorno
della morte – scomparsa
eterea dolce e sofferente
-come è sempre
per ogni cosa che sente

chi sa se pensare

consola (all’ultima
corrente che si apre –
al muschio delle sponde
se in ruscello o fiume
alle onde – al vento
dell’aria che finalmente
in cenere confonde)

da Tutte le oscurità del verde in Tutte le oscurità del verde (1996-2005)

se cremazione è
il nome forse
è il meglio
delle sepolture – quello
che rimane delle molte
imposture il sommo
la cima che pure
s’inabissa – voglio
esser cremata e non
infissa ad altri
legni intesi a far
risorgere
ossa teschi – e forse
anche la ferita della rivelazione –
perché dovrebbe – essa – la vita
stare superba in quella
tentazione? – voglio
finire in cenere nel mare –
nuotare con le ultime
papille – gustare – morta –
le uniche scintille – non
intervengo su chi
crede
nei cieli – quel velo colorato
è importante – anche se
grigio si stende
sulle vite – non fosse
per l’aria che ci intride
ci regge ci respira che
saremmo senza cielo
(delle vite…)? – ma
(…)

da Emiciclo in Esculapio (1989-2001)

  1. Avatar Marisa Tolve
    Marisa Tolve

    Mi dicevi non posso più vivere perché non posso scrivere. Giunta è la mia ora. Non ti trattengo dicevo, cara amica di piacevoli pranzetti al ristorante vicino casa. Rimarrai nel mio cuore insieme ai tanti tuoi libri che accompagnano le mie giornate.
    .

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